Secondo l'Associazione italiana di epidemiologia - che ha sviluppato le percentuali sui dati forniti dalla perizia ad hoc richiesta dal gip Todisco - nel capoluogo ionico tasso di mortalità a livelli record. Il ministro dell'Ambiente: "Non si può dire che c’è una relazione causa-effetto sulle attività dell’Ilva e lo stato di salute della popolazione"
La guerra dei numeri sulla mortalità causata dal cancro a Taranto si arricchisce di un’altra, autorevole fonte: lo studio dell’Associazione italiana di epidemiologia, che nell’ultimo numero della rivista Epidemiologia e prevenzione ha sviluppato le percentuali sui dati forniti dalla perizia epidemiologica realizzata per il gip del Tribunale tarantino. Un documento, quest’ultimo, (realizzato dai tecnici Biggeri, Forastiere e Triassi e nelle mani della procura dal 30 marzo scorso) su cui si sono basate molte delle mosse della magistratura e che hanno testimoniato da mesi come nel capoluogo ionico si muore di tumore molto più che in altre parti d’Italia.
Nulla che non si sapesse, quindi. Eppure i numeri forniti dall’Aie fanno paura. La mortalità a Taranto per tutte le cause aumenta dell’8-27% (a seconda dei quartieri), i tumori maligni del 5-42%, le malattie cardiovascolari del 10-28%, e le malattie respiratorie dell’8-64% (leggi tutto il documento). Ad essere più colpiti, come testimoniava anche la perizia dei tecnici incaricati dal gip Patrizia Todisco, sono i quartieri più vicini agli impianti dell’Ilva, dove i ricoveri e la mortalità toccano tassi record.
Lo studio dell’Aie, però, dice anche altro: ad essere maggiormente colpite sono le fasce più economicamente svantaggiate della popolazione. L’analisi per livello socioeconomico, infatti, ha messo in evidenza rischi maggiori per entrambi i sessi per mortalità e per il rischio di ammalarsi di malattie cardiovascolari, respiratorie, malattie dell’apparato digerente, tumori (in particolare stomaco, laringe, polmone e vescica) “con eccessi nelle classi più svantaggiate“.
Anche dopo aver tenuto conto del livello socioeconomico, sono emersi tassi di mortalità e ospedalizzazione più elevati per alcune patologie per i residenti nelle aree più vicine alla zona industriale: quartieri dei Tamburi (Tamburi, Isola, Porta Napoli e Lido Azzurro), Borgo, Paolo VI e il comune di Statte. Una sorta di quadrilatero della morte, quindi.
Nelle conclusioni dell’analisi si spiega che “i risultati di questo studio mostrano un’importante relazione tra stato socioeconomico e profilo sanitario nell’area di Taranto. Dopo aver tenuto conto di tale effetto, i quartieri più vicini alla zona industriale presentano un quadro di mortalità e ospedalizzazione più compromesso rispetto al resto dell’area studiata”. E per zona industriale, a Taranto, si intende proprio l’Ilva. Ma guai a dirlo alla politica.
Quello dell’associazione italiana di epidemiologia, del resto, è il primo articolo scientifico pubblicato. Eppure per il ministro dell’Ambiente “l’unica cosa evidente è che si stanno manipolando con grande spregiudicatezza dati incompleti e si sta creando una pressione sulla popolazione e sulle autorità”. Per Corrado Clini, del resto, sui dati sanitari di Taranto “non c’è nulla di segreto, nulla di nascosto”, ma ciò non basta ad individuare una “responsabilità precisa” perché oggi non c’è nessuno “che può dire che c’è una relazione causa-effetto sulle attività industriali attuali dell’Ilva e lo stato di salute della popolazione”. In tal senso, ha ripetuto Clini a Radio Anch’io su Radio 1, “abbiamo bisogno di trasparenza e responsabilità”.