L'istituto di Piazzetta Cuccia distribuisce 43 milioni di dividendi contro i 146 del 2011. La linea è non vendere partecipazioni che assicurano potere (ma non profitti) come Generali, Telecom o Rcs
Il nuovo motto che rimbomba nelle salette ovattate di Mediobanca deve’essere qualcosa del tipo: “Resistere, resistere, resistere”. Tenere duro senza vendere neppure un’azione delle partecipazioni chiave come Generali, Telecom o Rcs che una volta garantivano potere e profitti mentre oggi assicurano solo il primo. E pazienza se la prova di forza diventa sempre più faticosa per i conti, l’utile crolla del 78% passando da 369 a 81 milioni di euro (con l’ultimo trimestre in rosso di 24 milioni), gli azionisti si trovano in mano un titolo che vale il 22% in meno di un anno fa e il dividendo si rimpicciolisce da 17 a 5 centesimi per azione. Agli azionisti andranno insomma 43 milioni contro i 146 dello scorso anno o i 144 del 2010.
I conti annuali, che per Mediobanca si aprono e chiudono a giugno, confermano una tendenza in atto da tempo: l’attività bancaria tradizionale (prestiti, commissioni, etc) porta fieno nella cascina di Piazzetta Cuccia mentre le partecipazioni azionarie tenute in portafoglio se lo stanno mangiando poco a poco. L’escalation del 2012 fa impressione: per far fronte alla perdita di valore delle varie quote in società chiave per il sistema, nel primo trimestre dell’anno vengono messi da parte 70 milioni di euro, nel secondo trimestre 161, nel terzo 117, nel quarto e ultimo trimestre, quello in cui si fanno le ‘pulizie finali’, altri 256 milioni per un totale di 573 milioni. E’ più del doppio rispetto ai 275 milioni “pagati” nel 2011.
Nel frattempo l’attività bancaria classica non ha mai smesso di macinare ricavi. Un miliardo e 989 milioni gli incassi del 2012 che fa seguito ai risultati solo di poco più bassi registrati negli ultimi quattro anni. Persino nel terribile 2009 la divisione bancaria aveva generato introiti per più di 1 miliardo e 700 milioni. I costi risultano in calo e scendono da 824 milioni del 2011 a 789 milioni. Anche se, a far brillare i conti della divisione bancaria hanno certamente aiutato pure i 7,5 miliardi presi in prestito dalla Banca Centrale Europea con tasso agevolato dell1% annuo nell’ambito delle operazioni LTRO (Long Term Refinancing Operation) varate da Mario Draghi tra il 2011 e il 2012.
Tornado alle società che “scottano”, il valore complessivo delle partecipazioni di Piazzetta Cuccia in società quotate è passato dagli oltre 2,8 miliardi di marzo ai 2,7 di fine giugno . La quota in Telco (la finanziaria che controlla Telecom Italia) è stata svalutata di 113 milioni, ipotizzando un valore del titolo Telecom di 1,5 euro. Oggi l’azione ne vale in realtà 0,8, se le cose non cambiano nei prossimi mesi questa voce è destinata a generare altre perdite. Il valore della partecipazione nella società che controlla il Corriere della Sera, Rcs (14,3%) è stato invece tagliato di quasi 78 milioni ipotizzando una quotazione del titolo pari a un euro. Svalutazioni per 34 milioni anche su Delmi, la cabina di comando di Edison e quasi 29 milioni sulla partecipazione del 9% in Santé, cliniche privati francesi riconducibili ad Antonino Ligresti, fratello di Salvatore.
Il risultato avrebbe potuto essere ancora peggiore se fosse stato ritoccato il valore della partecipazione più pregiata. Quel 14% di Generali che vale quasi 2,4 miliardi e fa di Mediobanca il primo azionista del gruppo assicurativo triestino. In realtà l’andamento del titolo del Leone alato nel periodo aprile – giugno avrebbe suggerito un comportamento diverso. L’azione è stata quasi sempre al di sotto di quei 10 euro che per Piazzetta Cuccia rappresentano una sorta di linea del Piave. Se i titoli Generali stanno sopra questa soglia la partecipazione di Mediobanca vale di più di quanto è stata pagata, al di sotto si inizia invece a perdere.
Per ora si è preferito far finta di niente confidando in una pronta risalita del titolo Generali che attualmente quota 11,8 euro, non certo in una zona di sicurezza. Una valutazione improntata unicamente a criteri di massimizzazione dei profitti avrebbe consigliato di disfarsi tempo fa almeno di una parte delle partecipazioni. Hanno evidentemente prevalso considerazioni di altra natura e indietro non si può più tornare. Vendere ora vorrebbe dire farlo in perdita, si può solo sperare che la ripresa dei corsi azionari rimetta le cose in ordine. E intanto l’ad di Mediobanca mette le mani avanti. ”Siamo convinti che dovremmo ridurre la nostra esposizione sui titoli azionari perchè danno troppa volatilità al nostro risultato netto. Nei prossimi mesi, quando la situazione dell’euro sarà un pò più chiara, una volta deciso, daremo indicazioni al mercato su cosa vogliamo fare sulla nostra esposizione nell’equity”, ha detto oggi Alberto Nagel agli analisti in risposta a una domanda su una eventuale riduzione della quota in Generali.
Sta di fatto che Mediobanca paga un prezzo sempre più salato per la sua natura da ‘centauro’, metà banca tradizionale, metà cassaforte di partecipazioni. E occupare un posto a sedere in quello che viene ancora considerato il ‘salotto buono’ del capitalismo italiano sta diventando sempre più oneroso. Un anno fa il titolo valeva 5,5 euro oggi ne vale 4,3. Grandi soci come Unicredit, Benetton, Fonsai o Fininvest hanno rettificato il valore delle azioni Mediobanca nei loro portafogli portandole a 6/7 euro e incamerando così perdite per decine o centinai di milioni. E se il titolo non recupera valori più rassicuranti prima o poi dovranno arrivare altre sforbiciate.