Politica

Regione Lazio, ecco come la casta protegge se stessa

Il caso Regione Lazio non smette (apparentemente) di sorprendere.

Ieri è stato il turno dell’Avvocato del tesoriere laziale del Pdl Fiorito, Carlo Taormina,  che ha prefigurato la difesa del tesoriere stesso facendoci intendere  dove “si andrà a parare”. Di fronte alla contestazione in sede di interrogatorio, Fiorito, secondo quanto dichiarato dal suo avvocato,  dice che al massimo si potrà discutere di appropriazione indebita e non di peculato, come contestato dai pubblici ministeri. 

Al non-giurista la distinzione sembra non dire nulla, in entrambi i casi infatti , colui che  pone in essere la condotta commette in pratica un furto, nel primo caso si tratta di cose che lo stesso soggetto gestisce per conto di qualcun’altro, mentre nel caso del peculato si tratta di beni che appartengono alla pubblica amministrazione (o comunque si tratta di reati compiuti da un pubblico ufficiale).

Per fare un esempio l’appropriazione indebita è quella dell’amministratore di una società che si intasca i beni della società,  mentre il peculato è quello del dipendente pubblico che si porta a casa i beni dell’ufficio.

Il cittadino comune potrebbe pensare che Fiorito sia pazzo a riconoscersi eventualmente colpevole di un furto ai danni di un partito, e invece la difesa è ben studiata. Dal punto di vista della casta la distinzione rende infatti il soggetto in grado di essere perseguito oppure no.

L’appropriazione indebita, diversamente dal peculato presuppone che vi siano soggetti privati (o anche pubblici che gestiscano soldi privati senza un rigido sistema verificabile di contabilità) che si sono visti portare via il denaro o altre cose mobili e che propongano una querela nei confronti di colui che si è appropriato del maltolto, senza la quale  querela non si può procedere.

Ora se il cittadino (e il magistrato) non può conoscere, in virtù della mancanza di regole sui bilanci dei partiti (che sono state adottate in modo incompleto peraltro solo il 6 luglio del 2012 con la legge 96) e della trasparenza sui partiti stessi, la provenienza e la destinazione dei soldi del partito, può accadere che  i vertici del partito, che sono gli stessi che sino quel momento si sono avvalsi di quel tesoriere, possano tranquillamente dichiarare che i soldi a disposizione di Fiorito non sono soldi pubblici.

Nessuno, a questo punto, nemmeno i pubblici ministeri, potranno contestare la presenza del reato di peculato né potranno  procedere d’ufficio, senza la querela del partito. Questo perché, allo stato attuale, nonostante la chiara disposizione  dell’art. 49 della Costituzione  i partiti politici non sono associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica e non devono rendere quindi pubblico il loro statuto. Il che significa che i partiti stessi, non devono indicare nel proprio statuto gli elementi volti ad assicurare il rispetto dei principi di democrazia interna e trasparenza.

Il che significa anche  che non si possono conoscere le reali provenienze e destinazioni dei soldi a disposizione dei partiti e, conseguentemente, non si può sapere se un tesoriere ha utilizzato soldi pubblici (e quindi compiuto un peculato o una malversazione a danno dello Stato) o soldi privati (e quindi un appropriazione indebita) oppure non ha fatto nulla  (perché il partito ad esempio ha deciso di lavare i panni sporchi in famiglia).

Orbene nel caso  dell’ex capogruppo e tesoriere laziale del Pdl a proporre la querela dovrebbero essere gli stessi compagni di partito, che, a quanto sembra, non ne hanno proposta e questo, allo stato attuale, distingue la posizione di Fiorito da quella di Lusi che è invece stato querelato dai suoi ex compagni di partito.

Del resto, lo stesso Fiorito nei giorni scorsi, ha dichiarato di aver presentato un contro dossier nei confronti dei nuovi vertici del Pdl nel Consiglio regionale del Lazio, lanciando un segnale chiaro a chi è succeduto a lui stesso ma che ha esercitato comunque il potere negli stessi anni nei quali lo ha esercitato  anche lui.

Grazie alle regole della casta che non ci dicono da dove vengono  i soldi dei partiti  e come vengono utilizzati, un soggetto che ha utilizzato soldi può non essere considerato responsabile e, certo non basta la certificazione esterna dei bilanci dei gruppi parlamentari (che stava per essere depennata alla chettichella dalla Casta qualche giorno fa né la norma tappa-buchi del luglio 2012) per eliminare una zona franca di non responsabilità a disposizione dei partiti. Le ruberie infatti difficilmente avvengono a livello di gruppo parlamentare, bensì  nella prassi quotidiana dei partiti e nelle infinite articolazioni territoriali dei partiti stessi.

Riassumendo, grazie alle non-regole sulla trasparenza dei partiti la Casta può proteggere se stessa  decidendo di non dichiarare quali risorse siano pubbliche e quali private e decidendo  di non perseguire chi ha sottratto risorse al partito. Se però un dipendente pubblico che non ha niente a che fare con un partito,  usa il telefono d’ufficio per fare telefonate personali oppure utilizza Facebook in ufficio nell’orario di lavoro (fattispecie già considerate dalla giurisprudenza ipotesi di peculato)  allora quello sì che rischia da tre a dieci anni (o sino a tre anni nel caso di peculato d’uso).

Benvenuti in Italia.