Il procuratore aggiunto di Palermo torna sulla polemica iniziata dopo la sua partecipazione alla festa del Fatto: "I magistrati hanno non solo il diritto ma persino il dovere di partecipare al confronto quando si parla di mafia e giustizia"
“Rivendico la partecipazione al dibattito politico quando si parla di mafia e di giustizia. E’ un diritto che tocca a tutti i cittadini e anche ai magistrati”. Il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia torna sulla polemica che lo vede al centro con gli scontri incrociati all’interno della magistratura dal suo intervento alla festa del Fatto Quotidiano. Ingroia questa volta parla dalla festa di Liberazione di Palermo: “Quando si parla di questo argomento – riflette – direi che questa possibilità debba essere data soprattutto ai magistrati che hanno non solo il diritto ma persino il dovere di partecipare a questo tipo di dibattito”.
Ingroia ha ribadito anche di non essersi pentito quando è andato al congresso dei Comunisti Italiani, a Rimini. Il Csm nel febbraio scorso lo ha bacchettato: “Il Csm ha tutti i diritti e i poteri per valutare. Io sono sereno, sono sicuro di avere esercitato un mio diritto, di non aver violato alcuna regola” insiste il magistrato. Infine un’ultima risposta, sull’argomento, a Magistratura Democratica, la corrente dell’Associazione Nazionale Magistrati di cui Ingroia fa parte e che ieri lo aveva criticato, sia pure non facendo mai il suo nome: “Non tocca a me interpretare il comunicato di Magistratura democratica – risponde – Chi lo ha scritto se ne assuma la responsabilità”.
E Md torna di nuovo sulla sua presa di posizione: “Deve considerarsi impropria ogni sovrapposizione tra vicenda processuale e il dibattito interno agli organismi associativi dei magistrati: la prima resta ancorata al rispetto delle norme ed è estranea alle regole e logiche del confronto associativo e di quello politico” afferma Luigi Marini, presidente di Magistratura democratica.
Secondo Marini, “l’esercizio del diritto di critica dei provvedimenti giudiziari non può essere escluso per i magistrati” (a patto che si eserciti “in forma documentata, continente e rispettosa”), “a maggior ragione quando prende forma di corrispondenza privata e di scambio di opinioni nel corso di riunioni e seminari”. Ma “ferma restando la libertà di critica, anche severa, dei provvedimenti giudiziari, deve essere ribadita la assoluta necessità – afferma Marini – che il dissenso sull’operato dei magistrati non si trasformi in azioni miranti a interferire col normale corso delle indagini e dei processi e ad alterarne i risultati, soprattutto quando sono in gioco delicatissimi equilibri istituzionali. Si tratta di condotte che nulla hanno a che vedere con il normale e utile confronto e costituiscono deviazioni intollerabili”.