Battaglia sempre più accesa attorno alla Volcker Rule, la principale norma del Dodd-Frank Act, la legge di riforma del mercato finanziario americano, che tende a proibire alle banche il “proprietary trading”, le attività finanziarie altamente speculative condotte per realizzare un utile per sé e non per la clientela
Nel pieno della campagna elettorale, negli Stati Uniti si sta assistendo a un’escalation nella battaglia attorno alla Volcker Rule, la principale norma del Dodd-Frank Act, la legge di riforma del mercato finanziario americano. Sebbene il dibattito attorno alla regola sia stato promosso con l’obiettivo di garantire la massima trasparenza, rivela il New York Times, più di cento tra senatori e congressisti avrebbero agito finora anche dietro le quinte per sottoporre la Federal Reserve e le altre authorities ad un pressing costante con l’obiettivo di modificare la norma in senso permissivo o restrittivo. Lo scontro è tuttora in atto.
La cosiddetta “Regola Volcker” rappresenta da tempo il principale terreno di sfida tra lobbisti, promotori, legislatori e regolatori statunitensi. La norma, almeno di principio, tende a proibire alle banche il cosiddetto “proprietary trading”, ovvero le attività finanziarie altamente speculative condotte con l’obiettivo di realizzare un utile per sé e non per la clientela. Di fatto si tratterebbe di mettere al sicuro i depositi dei correntisti impedendo che la loro liquidità venga messa a rischio in operazioni condotte sul fronte dei derivati e delle attività più complesse in genere. Un blocco alla speculazione, insomma, utile nelle intenzioni a prevenire nuovi tracolli sistemici i cui costi verrebbero scaricati sull’intervento pubblico, ovvero sui contribuenti, secondo l’ormai consolidato adagio del “Too big to fail”.
Il problema, oggi, è che l’intero impianto di legge (che lascia molto spazio al suo completamento da parte dei regolatori come la Fed) contiene in sé deroghe ed eccezioni che rendono sempre più labile il confine tra lecito e illecito. In particolare c’è la questione dell’hedging, l’attività di copertura dal rischio, che implica il ricorso agli strumenti derivati come assicurazione contro la volatilità del mercato. In pratica le banche potrebbero essere autorizzate a speculare sui derivati, scommettendo ad esempio sull’andamento dei tassi di interesse o del prezzo del petrolio, facendo passare formalmente questo comportamento come gestione del rischio. Per i sostenitori della linea morbida, che temono un effetto negativo della Volcker sulla liquidità del mercato e, in ultima analisi, sulla ripresa economica, si tratterebbe di una conseguenza accettabile. Per gli oppositori più radicali sarebbe al contrario la materializzazione di una beffa.
Tra gli esponenti di quest’ultimo fronte c’è ovviamente il senatore democratico Carl Levin, noto “nemico giurato” di Wall Street. Quest’anno, rivela oggi Bloomberg, la commissione del Senato da lui presieduta dovrebbe chiedere formalmente ai regolatori di rendere la normativa più stringente. Allo stato attuale, sostiene Levin, la legge permetterebbe ancora alle banche di piazzare scommesse pericolose sul mercato con il rischio di produrre effetti dirompenti. L’esempio più evidente lo avrebbe offerto nei mesi scorsi la banca d’affari JP Morgan responsabile, attraverso il suo ufficio londinese, di una puntata mal riuscita su un indice costruito sui Credit default swaps del settore corporate, in pratica una scommessa sulla crescita dei costi di indebitamento di alcune grandi imprese statunitensi. Un errore spaventoso costato perdite pari a 5,8 miliardi di dollari.
Nelle intenzioni dei legislatori, la norma Volcker dovrebbe colmare quel vuoto lasciato dall’abrogazione del vecchio Glass-Steagall Act, il provvedimento approvato nel 1933 per distinguere nettamente le attività di retail da quelle dell’investment banking, ovvero i destini dei risparmiatori da quelli degli speculatori. La legge era sopravvissuta fino al 1999 quando il Congresso ne aveva votato l’abolizione. Quattro anni prima, nel famoso documento “National Homeownership Strategy”, l’allora presidente Bill Clinton si era appellato pubblicamente alla “creatività e alle risorse dei settori pubblico e privato” per “affrontare gli ostacoli finanziari al possesso di una casa”. In pratica uno spot per la creatività finanziaria, la cartolarizzazione e i mutui subprime. Il seguito, purtroppo, è storia nota.