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L’omelia di Caffarra sul fisco: “Chi riscuote le tasse è al servizio di Dio”

Il cardinale di Bologna interviene alla festa del santo patrono dei finanzieri: "Quando il cittadino perde la consapevolezza che il bene comune è frutto della cooperazione di ognuno e che pertanto è grave violazione della giustizia distributiva volerne usufruire senza cooperarvi. Tutto questo ha un nome: evasione fiscale"
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“Chi riscuote le tasse è al servizio di Dio”. Parole dell’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, pronunciate durante l’omelia della messa celebrata per la festa di San Matteo Apostolo (di mestiere esattore delle tasse, n.d.r.), patrono della Guardia di Finanza.

Il cardinale, citando San Paolo e la sua lettera ai romani, parla di “un rapporto fra lo stato e il cittadino di alto profilo morale e chi paga le tasse deve farlo non solo per timore della punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Una consapevolezza – prosegue – che trova giustificazione non solo nella legge penale dello stato, ma nell’esistenza di un ordine morale inscritto nella natura stessa delle cose, e in ultima analisi in Dio”.

Dall’altra parte, continua il cardinale, “coloro che svolgono questo compito sono a servizio di Dio. Sono cioè al servizio di un bene comune. Questo rapporto – avverte comunque Caffarra – si guasta, giungendo perfino a corrompersi”.

“Quando il cittadino perde la consapevolezza che il bene comune è frutto della cooperazione di ognuno e che pertanto è grave violazione della giustizia distributiva volerne usufruire senza cooperarvi. Tutto questo ha un nome: evasione fiscale“.

Ma succede anche quando lo stato “perde la consapevolezza di essere al servizio del cittadino, di essere legato ad un obbligo grave di rispettare il patto col cittadino medesimo. Tutto questo ha un nome: espansione della spesa pubblica“.

Esempio massimo per il cardinale sono gli ultimi anni in Italia, dove “stato e cittadino si sono mancati di rispetto reciprocamente: non sono stati fedeli al patto, col risultato che si sono danneggiati, e non di rado gravemente”.

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