Nel nome di Chavez. Jose Salomon Rondon, il ventitreenne attaccante venezuelano che ieri sera a San Siro ha realizzato uno dei due gol con cui il Rubin Kazan ha costretto l’Inter al pareggio nell’esordio di Europa League, non segna solo per mestiere. E’ in missione per conto della rivoluzione bolivariana. Il legame che unisce Rondon, il Venezuela e il suo presidente Hugo Chavez è indissolubile, come dimostrato dal tweet che gli ha dedicato il presidente dopo la doppietta segnata al Paraguay con la maglia della vinotinto (dalla casacca color vinaccia della nazionale venezuelana) la settimana scorsa. “Tremenda Vinotinto! Ese Salomón!Viva Venezuela!”, ha cinguettato sul social network il presidente calciofilo, che tra i sui amici e sponsor annovera anche Diego Armando Maradona. E adesso il nome di Rondon è entrato prepotentemente nella campagna elettorale venezuelana in vista delle prossime elezioni presidenziali del 7 ottobre.

Lo sfidante Capriles ha accusato infatti Rondon di aver accettato i rubli di Kazan (uno stipendio di 5 milioni di euro l’anno) solo per versarli a sostegno della campagna elettorale di Chavez. Il calciatore ha risposto di essere libero di sostenere chi crede, e ha rinnovato pubblicamente il suo appoggio all’attuale presidente. Ma non c’è solo Rondon: è l’intero sistema calcio venezuelano che potrebbe diventare l’ago della bilancia delle prossime elezioni. Fino ad oggi infatti la vinotinto è l’unica rappresentante di un paese sudamericano a non essersi mai qualificata per la fase finale di un Campionato del Mondo. Fino ad oggi. Perché con la vittoria per 2-0 in Paraguay (con la doppietta di Rondon), il Venezuela al termine del girone di andata è a un solo punto dal quarto posto valevole per l’impresa. Un risultato storico, che fa il paio con la vittoria sull’Argentina di Messi, Higuain e Pastore dello scorso anno e l’incredibile semifinale raggiunta nella Copa America 2011.

In un Paese dove – unica eccezione nell’intera America Latina – il calcio non è mai stato lo sport più popolare, la crescita esponenziale della vinotinto è coincisa con l’avvento al potere di Chavez, consapevole dell’importanza dello sviluppo dello sport più popolare del continente in una visione di soft power. Dal 1999 infatti Chavez ha deliberato tutta una serie di investimenti nello sport e nelle infrastrutture, culminati nel 2005 con l’istituzione del Cumbre Nacional de Gestión y Política del Deporte e nel 2007 con l’organizzazione della Copa America di calcio: un investimento di oltre 700 milioni di dollari per la costruzione di stadi (279 milioni) e infrastrutture (479 milioni). Dal 2007 alla guida della nazionale c’è Cesar Farias che fa del ‘catenaccio’ una strategia di gioco politica – consci della propria inferiorità si aspetta l’avversario e lo si colpisce all’improvviso sfruttandone le debolezze – e ha trapiantato il meglio della nazionale giovanile in prima squadra.

Oggi la stella assoluta della vinotinto è il giovanissimo Rondon, che Chavez ha seguito fin dai primi passi nell’Aragua – poi in Spagna, a Las Palamas e a Malaga, prima del trasferimento quest’estate a Kazan – e di cui ha fatto una bandiera nazionale. Come Paolo Sollier, che negli anni Settanta entrava in campo con il pugno chiuso e i calzettoni abbassati e si divideva tra gli allenamenti e la militanza in Avanguardia Operaia. Come il compianto Socrates, il centrocampista laureato in medicina che durante gli anni della dittatura in Brasile guidava l’autogestione del Corinthians, dove i giocatori si allenavano da soli, dividevano i premi e mettevano ai voti ogni decisione. Così anche Rondon scende in campo non solo per giocare a calcio ma anche per servire la sua causa politica. A suon di gol, come quello di ieri sera, che potrebbe incidere non solo sul cammino dei russi in Europa League, ma anche nella politica del Venezuela.

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