“Non ho peli sulla lingua, io. Dovrete abituarvi. In questa lettera pongo domande davanti alle quali non possiamo più nasconderci. Perché siamo ostaggio di quanto accade tra israeliani e palestinesi? Come spiegare la persistente vena di antisemitismo che percorre l’Islam? Chi ci vuole veramente colonizzare: l’America o l’Arabia? Per quale ragione continuiamo a sprecare il talento e la ricchezza delle donne, che rappresentano il cinquanta per cento abbondante della creazione divina? Cosa ci rende tanto sicuri che gli omosessuali meritino il nostro ostracismo – se non addirittura la morte – quando, secondo il Corano, tutto ciò che Dio crea è ‘eccellente’?” Era il 2006 quando anche in Italia, con grande ritardo e poca eco mediatica, esce Quando abbiamo smesso di pensare? durissimo testo della giornalista femminista e lesbica (religiosa islamica dichiarata) Irshad Manji.
Anche oggi, a distanza di anni, è la sua voce e quella di poche altre (tra loro Maryam Namazie, attivista iraniana di One law for all) che si alza contro i rischi del fondamentalismo islamico, mentre infuria la guerra, con morti e feriti, originata dalla reazione furiosa contro il film americano su Maometto e la pubblicazione di altre vignette satiriche in alcuni giornali europei.
Il resto è un coro bipartisan nel quale si condanna la satira e chi la pubblica, definendola incitamento all’odio, e poi si deplorano le violenze dei fanatici islamisti. Si dice che i fanatici siano una minoranza, rispetto alla maggioranza moderata del mondo musulmano e allora la domanda è: dove sono? Perchè non parlano? Per quale motivo si dà così poco spazio a questa maggioranza moderna e laica che non approva il fanatismo religioso islamico, che invece sembra tenere in scacco ormai quasi dovunque i movimenti della primavera araba?
Vorrei raccontare un episodio recente che illustra uno degli errori a mio parere più gravi che in Italia continuiamo a fare, per ignoranza e malinteso senso di accoglienza: in una iniziativa politica alla quale sono stata invitata doveva partecipare una attivista laica, non velata, giovane, rappresentante di un paese a maggioranza musulmana. All’ultimo minuto ha comunicato che non avrebbe potuto partecipare. Invece di verificare se era possibile avere presente una attivista della stessa area si è scelto di invitare una donna di tutt’altra appartenenza: velata e religiosa. La piega che ha preso il dibattito è stata molto diversa da quella originale: l’intervento della giovane islamica è stato sotto l’egida delle parole del Corano, una vera e propria lezione confessionale. Quello che credo sia davvero pericoloso è confondere i piani: si può provenire da un paese musulmano ma non necessariamente si è fedeli dell’islam, e, nel caso si sia donna, si può non portare il velo. C’è differenza tra invitare a un dibattito don Gallo piuttosto che un porporato fedele all’attuale pontefice. Tra Lorella Zanardo e l’ex ministra Carfagna c’è un abisso, e invitare l’una o l’altra significa dare voce ad una o un’altra visione delle donne e della relazione tra i generi. Voglio dire che scegliere di dare visibilità alle donne (e agli uomini) che lottano, in occidente come nei paesi d’origine, per la laicità, per la separazione tra stato e religione, per il primato della sfera pubblica priva di connotazioni confessionali, significa affermare che non c’è un solo islam, un solo monolitico mondo arabo e musulmano, così come non esiste solo un occidente o un cattolicesimo, o un solo modo di essere credenti.
C’è, poi, la grande questione della libertà di espressione, di stampa e di critica. Ho visto alcuni spezzoni dell’ultimo film che ha scatenato la furia omicida dei fondamentalisti, e ho intuito che era un brutto prodotto. Non sempre, anche in Italia, la satira, sia essa televisiva, scritta o a fumetti è intelligente, anzi è difficile che percentualmente lo sia, e più di tutto è estremamente difficile che non sia misogina, persino violenta, solitamente contro le donne o gli omosessuali. Ma, a parte stigmatizzazioni e reazioni indignate e ragionate, non si assaltano scuole, giornali e sedi politiche, e se questo accade, (non dimentichiamoci che il regista Theo van Gogh è stato ucciso nel 2004 per Submission, film invece non volgare o grottesco, incentrato sulla violenza dell’islamismo contro il corpo femminile) non si smette di esercitare un diritto che viene sospeso solo, (e non a caso), nelle dittature di ogni colore. Tacere su quello che sta accadendo nel mondo arabo e musulmano, giustificare la violenza contro la (pur brutta) satira significa creare una breccia pericolosa nel diritto alla libertà di stampa e di critica, che non può avere limitazioni di fronte a nessuna espressione di fede.
Lontani dall’essere oscurantisti ed economicamente arretrati, i fondamentalismi si oppongono con forza alla visione laica della società. L’altra faccia della globalizzazione è la frammentazione delle comunità secondo i binari della religione, dell’etnicità o della cultura. Tacere su questa rimozione non solo fa fare a noi occidentali un gigantesco passo indietro nella storia del percorso dell’autodeterminazione, ma infligge un colpo mortale a chi lotta per la secolarizzazione in paesi e culture dove ancora la religione e il patriarcato sono legge.