Il ministro Ghulam Ahmed Bilour aveva offerto 100mila dollari per uccidere l'autore della pellicola che ha scatenato proteste in tutto il mondo islamico. Islamabad si smarca. Con una dichiarazione alla Bbc, un portavoce, Shafqat Jalil, ha detto che il governo "pende le distanze assolutamente" dalle dichiarazioni di Bilour
Il governo pakistano ha preso le distanze dalla taglia di 100mila dollari (77mila euro) offerta da un suo ministro – il responsabile delle Ferrovie, Ghulam Ahmed Bilour – per chi uccidera’ l’autore del film blasfemo su Maometto che ha scatenato le proteste anti-occidentali nel mondo islamico. Con una dichiarazione alla Bbc, un portavoce, Shafqat Jalil, ha detto che il governo “pende le distanze assolutamente” dalle dichiarazioni di Bilour. Fonti del partito a cui appartiene il ministro, il Partito Nazionale Awami, che fa parte del governo di coalizione in Pakistan, hanno inoltre segnalato all’emittente che Bilour ha parlato a titolo personale e che le sue dichiarazioni non corrispondono alla linea del partito
Il ministro delle Ferrovie pakistano, Ghulam Ahmed Bilour, aveva annunciato una taglia di 100mila dollari per eliminare l’autore del film amatoriale blasfemo su Maometto che ha “incendiato” il mondo islamico. Secondo quanto riferiva il quotidiano locale Dawn, il ministro federale si era detto consapevole che l’istigazione all’omicidio è un crimine ma che lo riteneva l’unico modo per instillare la paura nei blasfemi ed evitare altri atti simili. Bilour ha invitato anche i talebani e i membri di al-Qaeda a partecipare alla ‘caccia‘, assicurando che in caso di successo verranno pagati. Parlando con i giornalisti ha inoltre rivolto un appello “alle persone benestanti” perché mettano a disposizione “denaro e oro” per colui che vendicherà con il sangue la pellicola realizzata da un cristiano copto. Bilour appartiene a un partito regionale ed è al centro di molte polemiche per la gestione delle disastrate Ferrovie pachistane.
Intanto ieri sono continuate le proteste dei gruppi religiosi islamici a Islamabad e Lahore. La polizia ha arrestato oltre 130 persone responsabili dei disordini che hanno provocato 26 morti e oltre 200 feriti. L’altro ieri il governo di Islamabad, per cercare di assorbire le proteste, aveva proclamato la giornata di “devozione al Profeta” (‘Youm-e-Ishq-e-Rasool’), ma la furia delle proteste si è scatenata ugualmente, soprattutto a Karachi, la città portuale nel sud del paese, dove centinaia di persone si sono scontrate con la polizia a Native Jetty Bridge cercando, senza riuscirvi, di raggiungere il consolato americano.
Fuori controllo anche la situazione a Peshawar, capoluogo della provincia nord-occidentale di Khyber Pakhtunkhwa, dove i morti sono stati 6 ed i feriti 65, con la polizia impotente di fronte a decine di migliaia di persone che hanno invaso il centro, e che si è limitata a difendere la “zona rossa” dove si trova il consolato americano. Gravi anche gli incidenti a Islamabad, dove scontri si sono avuti davanti al Serena Hotel e dove i dimostranti hanno tentato inutilmente di attaccare il quartiere diplomatico, protetto da un ingente dispositivo di sicurezza. Non vi sono state vittime nella capitale (solo 40 feriti), come non vi sono state neppure a Lahore, la capitale culturale pachistana, dove un corteo ha cercato di raggiungere il locale consolato statunitense, sfogando alla fine la propria rabbia contro la residenza del governatore.
Il presidente del nuovo Parlamento libico, Mohamed el Magaryef, l’altro ieri ha dichiarato in un’intervista che: ”Le proteste contro un film che offende Maometto non c’entrano nulla con quell’attentato. Qui in Libia sono presenti gruppi che hanno un’agenda diversa da quella del popolo libico. Noi vogliamo democrazia, prosperità e sicurezza. Loro vogliono il terrore”. E sull’accordo Italia-Libia ha ricordato che “è ancora valido, ma è stato firmato da Gheddafi nei suoi interessi. Per questo andranno riviste tutte quelle parti che non fanno l’interesse del popolo libico. Ma il nostro interesse a collaborare con l’Italia è fortissimo”.