La settimana scorsa il governo aveva annunciato un forte cambiamento nella politica energetica del Paese. Ma l'illusione dell'annuncio è durata poco. Shun’ichi Tanaka, nuclearista convinto e contestatissimo dai cittadini, è diventato il presidente dell'autorità di controllo. L'incarico durerà 5 anni e nessun governo potrà revocarlo
Per chi sperava in un decisivo cambiamento nella politica nucleare del Giappone, l’illusione creata dall’annuncio della scorsa settimana (“Entro la fine del 2030 usciremo dal nucleare”), è durata poco. Dopo la presentazione da parte di una commissione dell’impegno di fare uscire il paese dal nucleare entro dieci anni, già il 18 settembre c’è stata una netta inversione di rotta. Pur promettendo di voler “tenere in considerazione” il rapporto presentato dalla commissione, il governo di Tokyo non ha dato alcuna conferma di voler uscire dal nucleare entro la data annunciata.
Rimane l’intenzione di potenziare l’uso dell’energia rinnovabile, fino a farla diventare il 30 per cento (è inclusa anche l’energia idroelettrica, da molti tuttavia ritenuta una fonte “non sostenibile”) della quota totale delle fonti energetiche del paese, e di concentrarsi sullo sviluppo sostenibile dei combustibili fossili. Ma ci sono chiari segnali del fatto che l’abbandono del nucleare è ancora lontano. Per il momento dei circa 50 reattori che sono stati spenti per controlli dopo l’esplosione alla centrale di Fukushima Daiichi, solamente due sono stati fatti ripartire, riducendo la dipendenza del Giappone dal nucleare dal 30 a circa il 2 per cento. Ma nel frattempo continuano i lavori per la costruzione delle due nuove centrali nelle località di Oma, nella prefettura di Aomori, e a Matsue, in quella di Shimane.
Nonostante le proteste che sono continuate per tutta l’estate nella capitale e nel resto del Giappone, e un recente sondaggio del Mainichi Shimbun secondo cui il 90 per cento dei giapponesi, chiamati dal governo a dare la propria opinione durante le consultazioni, si sia dichiarato favorevole all’abolizione del nucleare, gli interessi politici ed economici rimangono forti. Con le elezioni generali che si terranno il prossimo, anche in forza delle pressioni delle potenti lobby del nucleare, il futuro dell’atomo nel Paese è ancora tutto da decidere.
“Purtroppo tutti sanno che questo governo ha i giorni contati e l’unico atto che ha compiuto e segnerà la strada per i successivi governi è la nomina della direzione del nuovo organo di controllo nucleare: il presidente assumerà l’incarico per 5 anni e nessun governo potrà revocarlo. E chi è stato nominato? Shun’ichi Tanaka, un nuclearista convinto e contestatissimo dai cittadini che chiedono da settimane il ripensamento”, spiega Yukari Saito, giornalista e saggista giapponese. “Inoltre, vale la pena di far notare che il governo Noda prima dell’annuncio di questa decisione, ha consultato il governo statunitense, che naturalmente non era contento della notizia”.
Intanto il 19 settembre la Japan nuclear fuel ha procrastinato per la diciannovesima volta il completamento dell’impianto di riprocessamento delle scorie nucleari di Rokkasho (approfondimento: viaggio a Rokkasho-mura). Il Giappone aveva dichiarato di voler accantonare il progetto dopo quanto accaduto a Fukushima, ma era stata presto rinnovata la volontà di andare avanti, confermata anche la settimana scorsa. Ora si stima un ulteriore aumento del costo finale del progetto di oltre un miliardo di euro (110 miliardi di yen), aggiungendo nuova incertezza sul futuro di questo centro e sulla strategia energetica che il Giappone intende adottare.