Il lavoro della commissione per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale all’Ilva non conosce sosta. Per il 30 settembre potrebbe essere pronta, nonostante i custodi siano sommersi di lavoro. Il presidente Carla Sepe non ha esitato a chiedere informazioni in pochi giorni anche minacciando una denuncia. La prima lettera è datata 3 settembre 2012, la seconda è di appena una settimana più tardi. In entrambe le missive il presidente chiede al “gestore” dello stabilimento, Barbara Valenzano, di voler confermare una serie di informazioni trasmesse da Ilva entro un paio di giorni, pena la denuncia per omessa comunicazione. Peccato che né Ilva né la commissione abbiano inviato quei dati “voluminosi” ai tecnici. Barbara Valenzano, però, schiva il colpo entrambe le volte e rilancia: “Nessuna di quelle proposte di intervento è giunta ai custodi, ma in ogni caso – scrive la Valenzano dopo aver reperito le proposte attraverso strade differenti – si ritiene necessario integrare l’elenco degli interventi proposti dalla società” per adeguarli alle migliori tecnologie disponibili e ricorda alla Sepe che la sua commissione “ha piena facoltà di individuare interventi integrativi o migliorativi” rispetto a quanto proposto dall’Ilva. I custodi, insomma, devono riuscire a risolvere entro pochi giorni tutto quello che in decenni istituzioni, locali e nazionali non hanno saputo fare. Se non ci riescono, per loro scatta la denuncia.
Il ministro dell’ambiente Corrado Clini, intanto, non perde occasione per ribadire che ”l’autorizzazione che consente all’Ilva l’esercizio degli impianti compete al ministero dell’Ambiente. Io – aggiunge il ministro – so qual è il mio compito e conosco quelli della magistratura”. Un concetto chiaro, anche se non proprio in linea con il codice di procedura penale: per Clini non sarà la procura di Taranto né il gip Patrizia Todisco a impedire che la fabbrica del Gruppo Riva possa continuare a produrre. Una vera e propria sfida dopo la bocciatura del piano di interventi proposto dal presidente Bruno Ferrante che mirava a ottenere anche una minima capacità produttiva che possa garantire anche la salvaguardia degli impianti e i livelli occupazionali.
Il 30 settembre, per Clini e la sua commissione, è quindi una data cruciale. Secondo il ministro, i tempi del risanamento si aggirerebbero intorno a 3 o 4 anni e gli interventi sarebbero così “imponenti” da “cambiare non solo la pelle, ma anche il cuore industriale di Taranto”. Nel frattempo l’Ilva avrebbe l’ok del Ministero dell’ambiente per continuare a produrre e, quindi, a inquinare. Una sorta di licenza per continuare ad avvelenare operai e cittadini di Taranto in attesa di realizzare gli interventi per “eliminare tutte le situazioni di pericolo”. L’attività produttiva potrebbe quindi riprendere in barba alle disposizioni del tribunale del Riesame che confermando il sequestro senza facoltà d’uso, aveva stabilito che l’attività produttiva potrà riprendere solo “in condizioni di piena compatibilità ambientale, una volta eliminate del tutto quelle emissioni illecite, nocive e dannose per la salute dei lavoratori e della popolazione”.
Eppure l’Ilva aveva già ottenuto l’Aia il 4 agosto 2011 con una commissione guidata allora dal presidente Dario Ticali. Lo stesso che avrebbe ricevuto, secondo quanto racconta l’avvocato Franco Perli a Fabio Riva in una telefonata intercettata dalla Guardia di finanza di Taranto, la disposizione da Luigi Pelaggi, ex capo di gabinetto dell’allora ministro Stefania Prestigiacomo, di “parlare” con Giorgio Assennato sulla cui testa pendeva, per il suo comportamento ostile all’azienda, il diktat di “distruggerlo” dell’ex pr dell’Ilva, Girolamo Archinà. Le prescrizioni contenute nell’autorizzazione concessa da quella commissione, i cui lavori secondo quanto emerge dalle intercettazioni sarebbero stati pilotati dal sistema Archinà, si sono dimostrate assolutamente inefficaci tanto che una nuova commissione sta procedendo al suo riesame. A guidarla, oggi, c’è Carla Sepe che nell’agosto 2011 era la vice di Ticali. La commissione si riunisce spesso all’interno dello stabilimento, ma i sopralluoghi agli impianti sarebbero stati appena due. Ai lavori partecipa anche l’azienda, nonostante il divieto imposto dal custode giudiziario. Perché il 30 settembre incombe e l’Aia “s’ha da fare”. Sempre che la commissione riesca a finire i lavori.