Tornare in Italia dopo un’esperienza all’estero non è un vantaggio: è una tara, non hai pressoché nessun contatto”. È amaro il commento di Samuele Mazzolini, 28 anni, che nel 2010 ha cercato di tornare in Italia dopo 9 anni trascorsi all’estero. “Ci ho provato, quando la mia ragazza è rimasta incinta di due gemelli abbiamo pensato che stare vicino ai nonni ci avrebbe fatto comodo”.

È durato poco. Nonostante un master a Oxford, una laurea alla School of Oriental and African Studies di Londra e un baccalaureato nel Collegio del Mondo Unito del Galles, Samuele ha trovato inizialmente soltanto un lavoro da commerciale presso una compagnia assicurativa di Milano. “Un’esperienza degradante: i due mesi peggiori della mia vita. Come venditore di polizze non ero molto convincente”. Poi la speranza, una consulenza alla Fao. Nuovo trasloco a Roma, con fidanzata e gemelli di tre mesi a seguito. Una scommessa scemata in poco tempo: “Dopo qualche mese non avevano più fondi per rinnovarmi il contratto”.

A quel punto si affaccia la tentazione di tornare in Ecuador, dove aveva già vissuto e lavorato come analista politico per la Presidenza della Repubblica nel 2009. “Il mio vincolo con l’Ecuador è di lunga data, la prima volta ci ero venuto nel 2003 per un anno sabbatico. Da allora non ho smesso di mantenere relazioni continue con il paese”. Inizialmente, racconta, ha tentennato: l’offerta era allettante, ma muovere ancora la nuova famiglia e allontanarsi diecimila chilometri da casa non era uno scherzo. Ora Samuele lavora al Ministero della Pianificazione e dello Sviluppo dell’Ecuador come coordinatore del nuovo piano di sviluppo 2013-2017, dove segue i temi politico-istituzionali e di relazioni internazionali. “Ogni giorno sono a riunioni con ministri e sottosegretari. Non è una questione di potere, il fatto è qui ti prendono in considerazione, è una questione di possibilità, di essere investiti di responsabilità”. Afferma che i sottosegretari della sua istituzione hanno un’età media di 35 anni, in un paese dove “la gerontocrazia non esiste”. 

Samuele trova l’Ecuador allettante anche su altri fronti, oltre a quello lavorativo. “In questi mesi ho avuto la possibilità di conoscere Ernesto Laclau, il mio teorico politico di riferimento. Ho presentato con lui la sua nuova rivista accademica”. Così come non nasconde di essere stato coinvolto in prima persona nei movimenti che hanno appoggiato l’asilo per Assange: “Insieme a un gruppo di collettivi, abbiamo organizzato diversi eventi. Quello più toccante è stato con Christine, la madre di Julian”. Rispetto all’Italia, l’Ecuador offre un panorama di possibilità altrimenti irraggiungibili. “Qualsiasi progetto uno abbia in mente ci sono buone possibilità di realizzarlo. È una società giovane, curiosa. E si tratta di un’economia in crescita vigorosa, il che naturalmente aiuta”.

E tornare in Italia? “Non lo escludo, mi piacerebbe, ma non ne faccio una questione di principio”. Trova vacue le posizioni di chi demonizza chi se ne va, come quelle di coloro che disprezzano il proprio paese. Se tornasse, gli piacerebbe rimanere nel suo ambito, la politica. “Ma a sinistra non premiano il merito. Sembra che la mediocrità sia il requisito per fare carriera. E poi di santi in paradiso personalmente non ne ho molti…”. Poi confessa: “Mi piacerebbe poter fare quello che faccio qui anche in Italia, ma tra dinosauri e raccomandazioni non è facile. La mia compagna ha una gran voglia di tornare. La quadratura del cerchio sarà tutto fuorché semplice”.

di Sara Ranieri 

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