L’11 settembre, forse, il Presidente del Consiglio Mario Monti e quattro Ministri della Repubblica hanno firmato l’avviso pubblico per la selezione del Direttore generale della neonata Agenzia per l’Italia Digitale. Il “forse” deriva dalla circostanza che l’avviso è stato pubblicato solo il 18 settembre sul sito del Governo e che il file .pdf reso disponibile è incompleto: la parte finale dell’ultima pagina, quella dove avrebbero dovuto trovare posto le firme è assente, tagliata di netto nella scansione.

Curioso che per pubblicare un documento su un sito istituzionale ci voglia una settimana e che poi lo si pubblichi solo a metà. Ma questo è davvero il meno giacché, in un modo o nell’altro, le firme sono poi arrivate ed oggi fanno bella mostra nelle altre versioni del documento –tutte diverse– pubblicate sui siti dei Ministeri.

Egualmente poco importante –considerata la situazione generale di disorganizzazione del Governo– è il fatto che l’avviso per la selezione del direttore che avrebbe dovuto essere nominato entro la fine di luglio –termine poi posticipato alla fine di agosto– sia stato pubblicato solo quando il termine per la nomina è già scaduto.

Tanto per essere sicuri di non dimenticare, ricapitoliamo: il Governo, con un Decreto Legge del 26 giugno, fissa per il 26 luglio il termine per nominare il Direttore Generale dell’Agenzia dell’Italia digitale, previa pubblicazione del relativo avviso. In sede di conversione in legge del decreto, il 26 luglio –quando il termine originariamente fissato era appena scaduto– proroga il suo stesso termine al 27 agosto.

Il 27 agosto, ovviamente, è passato in assenza non solo della nomina del Direttore ma, addirittura, della pubblicazione dell’avviso, prodromica alla selezione. L’11 settembre – a quindici giorni dalla scadenza del termine per la nomina – sembrerebbe, finalmente, firmato l’avviso per la selezione che, tuttavia, viene pubblicato online solo il 18 settembre, dopo essere finito in gazzetta ufficiale il 17 settembre. Il termine per la nomina del direttore generale, scadrebbe ora, il 2 ottobre.

Ovviamente è una proroga illegittima giacché si è modificato un termine fissato per legge, attraverso un “comunicato”, ovvero, un atto amministrativo firmato dal Premier e da quattro Ministri. Ce ne sarebbe già abbastanza per ridere o piangere, a seconda il livello di sopportazione della cialtronaggine di Governo raggiunto da ciascuno. Ma non basta. Le risate – quelle vere – o le lacrime più amare, arrivano, se si lascia da parte il calendario e si sfoglia il tanto agognato avviso.

Cominciamo con il dire che il bando per la selezione del Direttore Generale dell’Agenzia per l’Italia digitale è scritto su un pezzo di carta, corretto a penna, firmato dal Capo del Governo e dai quattro Ministri, cavalieri della digitalizzazione del Paese, a penna ed in policromia (si va dal nero al blu, passando per tonalità intermedie), reca un timbro – per di più storto – recante la data, proprio come si faceva una volta ed un microscopico e misterioro geroglifico (forse la sigla di uno dei cinque firmatari o del loro segretario?) nell’angolo inferiore sinistro dell’ultima pagina.

Un format identico –se non fosse perché l’avviso è più pasticciato– a quello utilizzato nel 1948 per la firma della costituzione della Repubblica. Il documento è pubblicato –in una serie di versioni male scansionate con tanto di buchi della punzonatura a vista– su quattro siti diversi perché, evidentemente, pubblicarlo su un solo sito e poi richiamarlo attraverso un link dai siti degli altri Ministeri sarebbe stato un tocco di eccessiva modernità.

Un ottimo inizio per l’Italia digitale: documenti informatici, firme elettroniche e digitali, time-stamping e posta elettronica certificata restano in cantina persino quando si tratta di nominare il Direttore dell’Agenzia per l’Italia Digitalia. Ma ancora non basta. Cialtronaggine, approssimazione e confusione analogica dei Professori dell’Italia digitale è stata tale che il testo dell’avviso è finito pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in una versione non corretta perché, evidentemente, sommersi da dozzine di copie di carta, gli uffici del Governo si sono dimenticati di comunicare al poligrafico che l’atto era stato poi corretto a penna e che la correzione avrebbe dovuto essere recepita sulla copia – auspicabilmente elettronica – trasmessa per la pubblicazione.

L’Italia digitale, per ora, è scarabocchiata a pena su un foglio di carta pasticciato. Guai, però, a perdere la speranza.

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