La Commissione europea ha recentemente presentato un’interessante proposta sulla supervisione bancaria all’interno dell’area euro. (1) Nonostante i molti difetti, è un buon inizio. Tuttavia, i ministri delle Finanze dei vari Stati membri hanno già incominciato a smontarla, in parte perché sono vergognosamente “catturati” dalle lobby delle banche nazionali, ma non solo per questo. La proposta ha in effetti alcune caratteristiche decisamente bizzarre, ma invece di cercare di indebolirla, andrebbe rafforzata.
Perché ciò avvenga, la Bce, che è l’ispiratrice del progetto, dovrebbe dire la verità sul perché sia necessaria una supervisione unica: la zona euro ha bisogno di un prestatore di ultima istanza.
Perché è davvero necessario un prestatore di ultima istanza
La proposta della Commissione ha un grande merito. Chiede – in modo inequivocabile – l’istituzione di un’unica autorità di supervisione bancaria della zona euro e individua nella Bce l’unica istituzione capace di svolgere questo compito. La sopravvivenza delle autorità nazionali di vigilanza, infatti, è da sempre uno dei principali difetti del Trattato di Maastricht. (2)
Contrariamente a quanto si dice, l’assoluta necessità di un unico istituto di vigilanza non è collegata a possibili interventi da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), è dovuta a una ragione molto più semplice e molto più convincente, anche se quasi mai menzionata.
La ragione è che i sistemi bancari hanno sempre bisogno di un prestatore di ultima istanza per i rari, ma decisivi, casi in cui una o più banche falliscano. Nulla di nuovo: le parole definitive sulla questione sono state dette da Walter Bagehot nel 1873. (3) Da allora, innumerevoli politici, commissioni e studiosi hanno chiarito che quel ruolo può essere assolto solo da una banca centrale. Il motivo è semplice: la quantità di denaro che deve essere mobilitata in poche ore non è reperibile altrove.
Infatti, anche se le risorse dell’Esm dovessero arrivare a 500 miliardi di euro, sarebbero comunque insufficienti per affrontare un’eventuale crisi delle principali banche europee.
Deutsche Bank, per esempio, ha un patrimonio di oltre 2mila miliardi, circa l’80 per cento del Pil della Germania.(4)
A peggiorare la situazione, c’è poi il fatto che le banche moderne sono profondamente interconnesse cosicché aumentano le probabilità che siano in diverse a sprofondare nello stesso momento. Le discussioni sul ruolo dell’Esm sono dunque una foglia di fico per nascondere l’inevitabile: sarà la Bce a doversene occupare.
D’altra parte, l’esperienza dell’Irlanda mostra che cosa accade in un sistema che non ha un prestatore di ultima istanza. Con la Bce rimasta ai margini della vicenda, il salvataggio delle banche irlandesi mandò in bancarotta lo Stato nel 2010. E c’è da aspettarsi che l’imminente salvataggio delle banche spagnole faccia altrettanto con lo Stato spagnolo.
Ecco perché il tema dell’unione bancaria è venuto alla ribalta proprio adesso.
L’ambiguità costruttiva
Generalmente, le banche centrali tendono a mantenere una ambiguità costruttiva sul loro ruolo di prestatori di ultima istanza, per evitare di assumersi impegni che possano incoraggiare le banche a scommettere sul salvataggio. Non è mai stato un argomento molto convincente e non è neanche un trucco intelligente per ridurre l’azzardo morale.
I massicci salvataggi a cui abbiamo assistito dal 2008 a oggi negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nell’area euro e in Svizzera hanno tolto anche quella foglia di fico.
Le banche centrali sono prestatori di ultima istanza, che lo vogliano o meno. Sarà necessario un accordo con gli Stati coinvolti, in modo da rendere certo che alla fine i costi siano sopportati da quello Stato e non dalla banca centrale, ma le banche centrali non possono rifiutarsi di agire quando si presenta un’emergenza.
Per farlo in modo corretto (quanto denaro serve e a quali condizioni), devono avere in ogni momento una profonda conoscenza dell’esatta situazione di ogni singola banca nella loro area. Ecco perché è sensato affidare i compiti di vigilanza alle banche centrali, come fanno molti paesi.
Il difetto alla nascita dell’area euro
Nella fase di preparazione della moneta unica questa logica è stata del tutto ignorata. Una “distrazione” deliberata, che era il risultato della pressione congiunta delle banche e delle autorità di supervisione nazionale, tutte con le proprie meschine ragioni: le autorià di supervisione nazionali si consideravano le protettrici delle banche del loro paese e gli istituti bancari apprezzavano molto questo stato di cose. Così i governi nazionali “catturati” si accordarono, con l’intenzione di proteggere i propri “campioni nazionali”.
Ovviamente, lo fanno ancora: usano il pretesto che l’Esm è forse troppo esiguo per il compito affidatogli – ed è vero – per argomentare che serve molto più tempo per studiare il problema.
Quando i politici chiedono più tempo, significa che vogliono uccidere un progetto, ma il pretesto va disinnescato. La Bce, che deve essere lodata per aver considerato la questione prioritaria, deve ora ridimensionare il pretesto Esm. Deve accettare di dire chiaramente che è il prestatore di ultima istanza del sistema bancario della zona euro e spiegare che può agire solo se è l’unica autorità di vigilanza dell’area.
La Bce deve fare di più
La Bce deve risolvere altre due falle della proposta della Commissione. In primo luogo, deve raggiungere un accordo con gli Stati membri su chi pagherà i costi. Probabilmente, si renderà necessario istituire un’agenzia unica di assicurazione sui depositi, finanziata dagli Stati membri, e stabilire regole per la suddivisione dei costi.
In secondo luogo, i costi garantiti devono essere bassi, possibilmente anche negativi (molti Stati guadagnano dal salvataggio delle banche perché comprano a prezzi bassi e rivendono a prezzi alti).
Quando si immette denaro in una banca per il suo salvataggio, bisogna costringere la stessa banca a sopportare la parte maggiore dei costi. La Svezia, nel 1992, ha effettuato un salvataggio bancario praticamente a costo zero, dunque sappiamo quali strumenti utilizzare. La Svizzera ha seguito la stessa logica per il salvataggio di Ubs nel 2008 e pare che ora i contribuenti svizzeri possano ricavare un profitto da quell’operazione.
Per mantenere bassi i costi del salvataggio della banca, l’autorità dovrà evitare di essere catturata da quegli interessi particolari che cercheranno di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
Considerate le enormi somme coinvolte, la cattura è certa. E il fatto che la Commissione non abbia osato inoltrarsi in questo territorio è una prova evidente che i governi nazionali sono già catturati. I contribuenti della zona euro possono contare solo sulla Bce per sostenere con forza che è necessario avere un’unica autorità con poteri di gestione delle crisi bancarie, che dia la garanzia che non si verificherà un enorme trasferimento di risorse dai contribuenti alle banche fallite.
Soluzione europea per un problema dell’Eurozona?
I paesi dell’Unione che non appartengono all’area euro sono sul piede di guerra perché si ritrovano coinvolti nella questione. Hanno ragione: hanno già le loro banche centrali che possono agire come prestatori di ultima istanza e non hanno perciò alcun bisogno dell’intervento della Bce. La Commissione commette un grave errore quando propone una soluzione europea per un problema dell’area euro. Anche se ci sono alcune difficoltà tecniche, dovrebbe essere un problema facile da risolvere perché gli interessi privati coinvolti sono minimi.
(1) European Commission (2012). “Vice-President Rehn’s remarks at the Eurogroup Press Conference”, September.
(2) Begg, David, Paul de Grauwe, Francesco Giavazzi, Harald Uhlig and Charles Wyplosz (1998) “The ECB: Safe at Any Speed?, Monitoring the European Central Bank 1″, CEPR.
(3) Bagehot, Walter (1873), Lombard Street, Henry S King and Co.
(4) Deutsche Bank (2011). Financial data supplement, October.
Lavoce.info
Watchdog della politica economica italiana
Zonaeuro - 24 Settembre 2012
Bce, per l’Eurozona è l’ultima spiaggia
La Commissione europea ha presentato la proposta per la creazione di una supervisione bancaria unica nei paesi dell’area euro. È un buon inizio, ma è necessario un passo ulteriore. È arrivato il momento di affermare esplicitamente che l’Eurozona ha bisogno di un prestatore di ultima istanza e che l’unica istituzione che può assumere quel ruolo è la Bce. Serve anche un accordo fra gli Stati membri sulla ripartizione dei costi dei salvataggi delle banche, oltre a un sistema di regole che li riduca al minimo.
di Charles Wyplosz** (lavoce.info)
La Commissione europea ha recentemente presentato un’interessante proposta sulla supervisione bancaria all’interno dell’area euro. (1) Nonostante i molti difetti, è un buon inizio. Tuttavia, i ministri delle Finanze dei vari Stati membri hanno già incominciato a smontarla, in parte perché sono vergognosamente “catturati” dalle lobby delle banche nazionali, ma non solo per questo. La proposta ha in effetti alcune caratteristiche decisamente bizzarre, ma invece di cercare di indebolirla, andrebbe rafforzata.
Perché ciò avvenga, la Bce, che è l’ispiratrice del progetto, dovrebbe dire la verità sul perché sia necessaria una supervisione unica: la zona euro ha bisogno di un prestatore di ultima istanza.
Perché è davvero necessario un prestatore di ultima istanza
La proposta della Commissione ha un grande merito. Chiede – in modo inequivocabile – l’istituzione di un’unica autorità di supervisione bancaria della zona euro e individua nella Bce l’unica istituzione capace di svolgere questo compito. La sopravvivenza delle autorità nazionali di vigilanza, infatti, è da sempre uno dei principali difetti del Trattato di Maastricht. (2)
Contrariamente a quanto si dice, l’assoluta necessità di un unico istituto di vigilanza non è collegata a possibili interventi da parte del Meccanismo europeo di stabilità (Esm), è dovuta a una ragione molto più semplice e molto più convincente, anche se quasi mai menzionata.
La ragione è che i sistemi bancari hanno sempre bisogno di un prestatore di ultima istanza per i rari, ma decisivi, casi in cui una o più banche falliscano. Nulla di nuovo: le parole definitive sulla questione sono state dette da Walter Bagehot nel 1873. (3) Da allora, innumerevoli politici, commissioni e studiosi hanno chiarito che quel ruolo può essere assolto solo da una banca centrale. Il motivo è semplice: la quantità di denaro che deve essere mobilitata in poche ore non è reperibile altrove.
Infatti, anche se le risorse dell’Esm dovessero arrivare a 500 miliardi di euro, sarebbero comunque insufficienti per affrontare un’eventuale crisi delle principali banche europee.
Deutsche Bank, per esempio, ha un patrimonio di oltre 2mila miliardi, circa l’80 per cento del Pil della Germania.(4)
A peggiorare la situazione, c’è poi il fatto che le banche moderne sono profondamente interconnesse cosicché aumentano le probabilità che siano in diverse a sprofondare nello stesso momento. Le discussioni sul ruolo dell’Esm sono dunque una foglia di fico per nascondere l’inevitabile: sarà la Bce a doversene occupare.
D’altra parte, l’esperienza dell’Irlanda mostra che cosa accade in un sistema che non ha un prestatore di ultima istanza. Con la Bce rimasta ai margini della vicenda, il salvataggio delle banche irlandesi mandò in bancarotta lo Stato nel 2010. E c’è da aspettarsi che l’imminente salvataggio delle banche spagnole faccia altrettanto con lo Stato spagnolo.
Ecco perché il tema dell’unione bancaria è venuto alla ribalta proprio adesso.
L’ambiguità costruttiva
Generalmente, le banche centrali tendono a mantenere una ambiguità costruttiva sul loro ruolo di prestatori di ultima istanza, per evitare di assumersi impegni che possano incoraggiare le banche a scommettere sul salvataggio. Non è mai stato un argomento molto convincente e non è neanche un trucco intelligente per ridurre l’azzardo morale.
I massicci salvataggi a cui abbiamo assistito dal 2008 a oggi negli Stati Uniti, nel Regno Unito, nell’area euro e in Svizzera hanno tolto anche quella foglia di fico.
Le banche centrali sono prestatori di ultima istanza, che lo vogliano o meno. Sarà necessario un accordo con gli Stati coinvolti, in modo da rendere certo che alla fine i costi siano sopportati da quello Stato e non dalla banca centrale, ma le banche centrali non possono rifiutarsi di agire quando si presenta un’emergenza.
Per farlo in modo corretto (quanto denaro serve e a quali condizioni), devono avere in ogni momento una profonda conoscenza dell’esatta situazione di ogni singola banca nella loro area. Ecco perché è sensato affidare i compiti di vigilanza alle banche centrali, come fanno molti paesi.
Il difetto alla nascita dell’area euro
Nella fase di preparazione della moneta unica questa logica è stata del tutto ignorata. Una “distrazione” deliberata, che era il risultato della pressione congiunta delle banche e delle autorità di supervisione nazionale, tutte con le proprie meschine ragioni: le autorià di supervisione nazionali si consideravano le protettrici delle banche del loro paese e gli istituti bancari apprezzavano molto questo stato di cose. Così i governi nazionali “catturati” si accordarono, con l’intenzione di proteggere i propri “campioni nazionali”.
Ovviamente, lo fanno ancora: usano il pretesto che l’Esm è forse troppo esiguo per il compito affidatogli – ed è vero – per argomentare che serve molto più tempo per studiare il problema.
Quando i politici chiedono più tempo, significa che vogliono uccidere un progetto, ma il pretesto va disinnescato. La Bce, che deve essere lodata per aver considerato la questione prioritaria, deve ora ridimensionare il pretesto Esm. Deve accettare di dire chiaramente che è il prestatore di ultima istanza del sistema bancario della zona euro e spiegare che può agire solo se è l’unica autorità di vigilanza dell’area.
La Bce deve fare di più
La Bce deve risolvere altre due falle della proposta della Commissione. In primo luogo, deve raggiungere un accordo con gli Stati membri su chi pagherà i costi. Probabilmente, si renderà necessario istituire un’agenzia unica di assicurazione sui depositi, finanziata dagli Stati membri, e stabilire regole per la suddivisione dei costi.
In secondo luogo, i costi garantiti devono essere bassi, possibilmente anche negativi (molti Stati guadagnano dal salvataggio delle banche perché comprano a prezzi bassi e rivendono a prezzi alti).
Quando si immette denaro in una banca per il suo salvataggio, bisogna costringere la stessa banca a sopportare la parte maggiore dei costi. La Svezia, nel 1992, ha effettuato un salvataggio bancario praticamente a costo zero, dunque sappiamo quali strumenti utilizzare. La Svizzera ha seguito la stessa logica per il salvataggio di Ubs nel 2008 e pare che ora i contribuenti svizzeri possano ricavare un profitto da quell’operazione.
Per mantenere bassi i costi del salvataggio della banca, l’autorità dovrà evitare di essere catturata da quegli interessi particolari che cercheranno di socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
Considerate le enormi somme coinvolte, la cattura è certa. E il fatto che la Commissione non abbia osato inoltrarsi in questo territorio è una prova evidente che i governi nazionali sono già catturati. I contribuenti della zona euro possono contare solo sulla Bce per sostenere con forza che è necessario avere un’unica autorità con poteri di gestione delle crisi bancarie, che dia la garanzia che non si verificherà un enorme trasferimento di risorse dai contribuenti alle banche fallite.
Soluzione europea per un problema dell’Eurozona?
I paesi dell’Unione che non appartengono all’area euro sono sul piede di guerra perché si ritrovano coinvolti nella questione. Hanno ragione: hanno già le loro banche centrali che possono agire come prestatori di ultima istanza e non hanno perciò alcun bisogno dell’intervento della Bce. La Commissione commette un grave errore quando propone una soluzione europea per un problema dell’area euro. Anche se ci sono alcune difficoltà tecniche, dovrebbe essere un problema facile da risolvere perché gli interessi privati coinvolti sono minimi.
(1) European Commission (2012). “Vice-President Rehn’s remarks at the Eurogroup Press Conference”, September.
(2) Begg, David, Paul de Grauwe, Francesco Giavazzi, Harald Uhlig and Charles Wyplosz (1998) “The ECB: Safe at Any Speed?, Monitoring the European Central Bank 1″, CEPR.
(3) Bagehot, Walter (1873), Lombard Street, Henry S King and Co.
(4) Deutsche Bank (2011). Financial data supplement, October.
* Il testo in lingua originale è pubblicato su Vox.
MORTE DEI PASCHI
di Elio Lannutti e Franco Fracassi 12€ AcquistaArticolo Precedente
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Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.