Angelica ha 16 anni, frequenta una scuola superiore di Napoli. Ha un ritardo cognitivo grave, quando ha il ciclo mestruale non si accorge di sporcarsi: sua madre va in classe, l’accompagna in bagno e l’aiuta a cambiarsi l’assorbente. Questo è possibile perché la mamma non lavora. Ma se per caso si prende un’influenza, Angelica resta a casa da scuola: sua madre le vuole risparmiare l’umiliazione di andare in giro con gli abiti macchiati.
Matteo, come tutti i bambini di otto anni, durante la ricreazione vorrebbe mangiare la merenda. Da solo non ci riesce: nessuno lo aiuta a mangiare.
Inizia l’anno scolastico 2012-2013, ecco i numeri che ti accolgono sul sito dell’associazione Tutti a scuola: 215.000 bambini disabili; 65.000 insegnanti di sostegno in meno; 120.000 bambini scoperti. La spending review ha ridotto il trasferimento di denaro a regioni, province e comuni: a cascata, tutti i servizi sociali ne hanno risentito. “Il fondo nazionale per le politiche sociali – spiega Antonio Nocchetti, presidente di Tutti a scuola – si è andato via via restringendo. Negli ultimi due anni del governo Prodi oscillava tra 1 miliardo e 800 milioni di euro e 1 miliardo e mezzo. Poi con Berlusconi si è ulteriormente abbassato a 700 milioni. Finché quest’anno la Conferenza Stato-Regioni ha rigettato la proposta del governo Monti: era 187 milioni”. Insomma non arrivano i soldi. E nella maggioranza delle scuole resta scoperto il ruolo dell’assistente materiale che aiuta i bambini e i ragazzi in difficoltà nella gestione pratica delle ore di scuola: li accompagna al bagno, li cambia, li aiuta a mangiare.
Ma chi sono questi assistenti? “La figura dell’assistente materiale è ambigua in alcune scuole”, racconta Nocchetti. “È una mansione che possono svolgere anche bidelli, dopo aver frequentato corsi che – notare bene la circostanza – sono però facoltativi. Se hanno acquisito questa specializzazione e si rendono disponibili, i bidelli hanno diritto a 30 euro in più al mese. Altrimenti i Comuni stipulano contratti con cooperative che mettono a disposizione personale. Questa seconda strada ha un costo maggiore, ma ha un effetto politicamente rilevante perché i Comuni danno così lavoro a decine, se non migliaia nei casi dei grandi centri urbani, di persone. Cioé si creano clientele. E guarda un po’, questa è la strada preferita. Per risolvere la situazione, basterebbe rendere i corsi dei bidelli obbligatori e adeguare i loro stipendi con due-trecento euro in più, una cifra non trascurabile”.
La sentenza 80/2010 della corte costituzionale ha stabilito che le ore di sostegno non possono essere limitate dalle risorse della scuola ma determinate dal bisogno del minore disabile: “Calcoliamo che a tutt’oggi oltre 10mila famiglie abbiano fatto ricorso alla magistratura per vedere riconosciuto il diritto allo studio e a una qualità di vita accettabile nel tempo scuola per i loro figli. In un paese normale la politica se ne sarebbe accorta. In Italia no”. Se la disabilità non è supportata, spiegano molti genitori di ragazzi con deficit, diventa un peso. Altro che una “risorsa che stimola gli insegnanti e gli alunni” come si predicava nel ‘77, quando furono abolite le classi ghetto, le famose “differenziali”. Senza contare che sporchi di cacca o sangue, i bimbi e i ragazzi disabili sono due volte diversi, marchiati, mortificati. La puzza che arriva dai loro pannoloni non cambiati è l’odore dell’ipocrisia che ci racconta come un paese “civile”, crisi o non crisi, non dovrebbe pagare chi – tutto il giorno, tutti i giorni – fa molta fatica a vivere.