Come forse avrete letto, il sindaco di Affile, un piccolo comune della provincia di Roma, ha deciso di intitolare un momumento nel parco pubblico del suo paese al generale Rodolfo Graziani, esponenti di punta del fascismo e della Repubblica di Salò. Questa è la lettera aperta che ho voluto scrivere al sindaco per sostenere la mobilitazione animata in queste settimane da storici, studiosi e associazioni contro questa decisione sbagliata e gravemente offensiva della storia d’Italia.

Caro Sindaco, 

come sa bene chi amministra la cosa pubblica il nostro passato lascia tracce e memorie che arrivano fino a noi. Spesso siamo chiamati a ricordare, comunicare eventi, personaggi punti di riferimento per rafforzare i legami e i vincoli delle comunità di uomini e donne che rappresentiamo. Una strada, un monumento, il nome di una scuola sono simboli importanti che non si esauriscono negli atti amministrativi ma diventano parte di una comunità, segnali del vivere comune, indicazioni o modelli per le giovani generazioni.

Mi sembra quindi gravemente offensivo per la storia della nostra Repubblica pensare di intitolare un monumento a Rodolfo Graziani. Cosa vorremmo comunicare a chi si avvicinerà a quel busto? Quali motivazioni richiamano il sostegno e il finanziamento alla realizzazione di tale simbolo? L’impegno di Graziani nelle guerre coloniali condotte dal fascismo in Africa? La crudeltà e la durezza dei suoi metodi contro le popolazioni civili? Il ricorso all’uso dei gas? O ancora la politica dei campi di concentramento o la reclusione coatta di popolazioni nomadi? Non credo che sia possibile offendere e umiliare il senso di una storia comune che ci ha condotto – tra passi avanti e battute d’arresto – fino al punto in cui siamo.

Graziani ha legato il suo nome e la sua esistenza ad alcune tra le pagine più vergognose del regime. Figura di punta della guerra in Etiopia, dopo l’ingresso di Badoglio in Addis Abeba, Graziani fu chiamato a prendere il suo posto al vertice della catena di comando che Mussolini aveva costruito. Uomo del regime che non si è mai distaccato dalle sue convinzioni. Gli anni della guerra civile sono, se possibile, ancora più emblematici. Il tramonto del fascismo lo vede tra i più convinti della necessità di proseguire la guerra a fianco della Germania nazista, tra le fila della Repubblica sociale italiana della quale divenne ministro della difesa e in seguito delle Forze armate. I suoi uomini si impegnarono soprattutto nella lotta anti partigiana. Lui stesso consegnandosi agli Alleati il 27 aprile 1945 sostenne la legittimità dell’occupazione nazista e la fondatezza della guerra civile contro la Resistenza. Nei primi anni della Repubblica non prese la distanze, ma tentò di rivendicare e difendere le sue scelte sottraendosi, fino a quando gli fu possibile, alle istanze di giudizio sul suo operato nella guerra a fianco di Mussolini e Hitler. Fu condannato a 19 anni di reclusione con l’accusa di collaborazionismo, mentre rimasero pendenti i suoi trascorsi in Africa e le accuse di crimini contro l’umanità a lui rivolte da più parti.

Come possiamo accettare di ricordalo con un monumento come se il suo nome possa figurare a fianco di tanti che hanno contribuito a costruire il nostro paese? La mobilitazione di queste settimane (dal New York Times agli appelli di storici, studiosi e associazioni) conferma che la Repubblica ha bisogno di punti di riferimento, di una lettura del passato che chiarisca meriti e responsabilità per rispetto della storia e per amore del futuro.

Per questo davvero le chiedo di intervenire per rimuovere questa offesa alle libertà e alla storia democratica dell’Italia.

Nicola Zingaretti

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