E ora la Corte costituzionale, con una procedura prevista dalla legge ma finora del tutto inedita, impone formalmente ai pm di Palermo di violare il segreto investigativo per sapere quali e quante sono le intercettazioni telefoniche che riguardano il capo dello Stato. Ma non solo. I giudici costituzionali vogliono conoscere in che data quelle registrazioni sono state effettuate, nell’ambito di quale procedimento sono state disposte, e infine se nel fascicolo sulla trattativa vi siano provvedimenti di stralcio, richiesta – quest’ultima – che costringe la procura palermitana a scoprire almeno in parte le carte dell’inchiesta. Così da oggi la procura di Francesco Messineo ha venti giorni di tempo per inviare la documentazione ai giudici della Consulta che intendono essere informati su tutti i dettagli tecnici che hanno portato a “captare” per caso la voce di Giorgio Napolitano, in alcune telefonate con Nicola Mancino, “con esclusione delle parti relative al contenuto”. E che pretendono di conoscere anche aspetti relativi alla struttura dell’indagine sulla trattativa, al momento rigorosamente top secret.
La richiesta, del tutto inusuale, è contenuta in un’ordinanza istruttoria che nelle sue premesse cita la legge n. 87 dell’11 marzo 1953 sul funzionamento della Consulta: una norma che attribuisce ai componenti della Corte il diritto di disporre il richiamo di atti e documenti “anche in deroga ai divieti stabiliti da altre norme”: in questo caso, l’altra norma è proprio quella sul segreto investigativo. L’ordinanza dei giudici costituzionali è arrivata ieri pomeriggio mentre Messineo era riunito con l’aggiunto Antonio Ingroia e con gli altri pm della trattativa, Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene, per la scelta degli avvocati che dovranno sostenere la difesa della Procura nel conflitto di attribuzione sollevato dal capo dello Stato. I difensori prescelti sono tre: l’ex presidente dei costituzionalisti Alessandro Pace, il professor Giovanni Serges, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico alla Terza Università di Roma, e Mario Serio, docente di Diritto privato comparato a Palermo. Gli ultimi due, presenti alla riunione in Procura, non avrebbero nascosto la loro perplessità di fronte alla pretesa di conoscere gli atti coperti dal segreto d’ufficio, rilevando quanto meno l’assenza di precedenti. E qualcuno tra i pm ha sottolineato l’irritualità di una richiesta che “ha il sapore di un atto ispettivo ed è al limite dei poteri della Consulta”.
Ma non c’è tempo per le polemiche, perché gli avvocati della Procura di Palermo devono affrettarsi a preparare la difesa, dal momento che il 19 ottobre scadono i termini per il deposito della memoria che deve dimostrare come il conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano sia del tutto infondato: e cioè che i pm della trattativa, rifiutandosi di distruggere le telefonate tra Mancino e il capo dello Stato, prima che queste siano valutate da un giudice terzo, hanno agito nella legalità. Tempi, dunque, strettissimi. Al punto che qualcuno in riunione a Palermo si è lamentato di un sostanziale “trattamento deteriore” da parte della Consulta. Nei giorni scorsi, infatti, il presidente della Corte Alfonso Quaranta ha imposto un’accelerazione del tutto eccezionale al conflitto di attribuzione, dimezzando tutti i tempi per arrivare a una decisione entro la metà di novembre. Da 60 sono diventati 30 i giorni previsti a partire dalla decisione sull’ammissibilità del conflitto per la notifica del ricorso. E così via: da 30 sono diventati 15 i giorni previsti a partire dalla notifica del ricorso per il suo deposito; e da 20 sono diventati 10 i giorni previsti a partire dal deposito del ricorso per consentire ai convenuti di costituirsi nel procedimento e presentare le controdeduzioni. “Il che significa – fanno notare in procura a Palermo – che alla nostra difesa sono stati sottratti 25 giorni”.
Una corsa contro il tempo che secondo la lettura palermitana potrebbe favorire l’Avvocatura dello Stato, già da tempo impegnata nella difesa del Quirinale, che ha chiesto e ottenuto la “trattazione urgente” del caso. E venti giorni, infine, ha adesso Antonio Ingroia, per decidere se presentarsi, o meno, davanti al Csm che lo ha convocato per ascoltarlo e che ieri non ha deciso se inserire il ‘richiamo’ per la sua partecipazione al congresso del Pdci nel suo fascicolo personale, determinando un rallentamento di carriera. Il plenum diviso ha rinviato la decisione a dopo avere ascoltato il procuratore aggiunto di Palermo.
da Il Fatto Quotidiano del 26 settembre 2012