Sapete qual è il panettone più “buono” d’Italia? Quello sfornato dai detenuti del carcere di Padova, I Dolci di Giotto, che quest’anno si è aggiudicato anche un riconoscimento nell’ambito della manifestazione Taste per il panettone al Kabir, fatto con Moscato di Pantelleria DOP.
E quando gli imprenditori sociali vanno in carcere, escono sempre buone cose.
Canditi, mandorle, guarnizioni, colombe pasquali, dolci natalizi e della tradizione che hanno già ricevuto numerosi premi dal Gambero Rosso e dall’Accademia Italiana della Cucina. De gustibus direte ma, stando ai fatti, gli chef della casa di reclusione “Due Palazzi” si sono fatti valere.
I Dolci di Giotto rappresentano oggi una delle numerose attività lavorative che vengono svolte all’interno del Carcere di massima sicurezza “Due Palazzi”. Gestite con spirito imprenditoriale, sono portate avanti dal Consorzio di Cooperative Sociali Rebus, con l’intento di far incontrare le esigenze aziendali con il recupero e la valorizzazione dei detenuti.
Vite parallele attraverso le sbarre che, come i ragazzi di Jamie Oliver, si incontrano, si confrontano, si creano un mestiere, producono e da lì ri-partono, in un paese, l’Italia, dalla situazione carceraria estremamente complessa.
Secondo i dati del Ministero della Giustizia, i detenuti presenti nelle carceri italiane sono oltre 66.000, a fronte di una capienza regolamentare di 45.568 posti. Uno status, questo, che ci ha fatto meritare il maggior numero di condanne per la violazione della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (eccessiva durata dei processi, condizioni di vita dei carcerati). Esperienze europee di inserimento produttivo dei detenuti mostrano dei risparmi clamorosi dello stato grazie al crollo delle recidive, quindi il valore economico è sia diretto dell’impresa sociale sia indiretto dello stato. Al valore economico aggiungete il valore sociale, e avete un mix da guinness dei primati.
Tante imprese ‘galeotte’ che danno ridanno senso e dignità a migliaia di persone detenute e ne riattivano una prospettiva esistenziale. Gocce in mezzo al mare (di interventi che andrebbero messi in atto). Quelle de I Dolci di Giotto sono gocce al “cioccolato”, specialità gustate e ordinate dai ristoranti di tutto il mondo. Da Parigi a New York. Un cerchio perfetto, da grande Maestro.
L’arte, autentica, di un mestiere che mette sul mercato 12 mila panettoni l’anno a vantaggio dell’economia, della riabilitazione (con rarissimi casi di recidiva una volta fuori) e del gusto.
Davide Paolini, noto “gastronauta”, giornalista e conduttore radiofonico, di quel primo assaggio ha ancora un vivissimo ricordo: «Avevo assaggiato questo panettone e ne ero rimasto entusiasta: leggero, fragrante, con materiali di qualità, uno dei migliori che abbia mai gustato, con un tempo di lavorazione evidentemente molto lungo. Allora ho chiesto: “Ma quale pasticceria lo produce?”, e quando mi hanno risposto “Il carcere di Padova” non ci volevo credere».
Quello di Padova, non è l’unico esempio: nel carcere di Bollate, Milano, sono attive le cooperative sociali Alice (sartoria, confezioni e riparazioni abbigliamento), Abc la Sapienza in tavola (catering, cucina), Estia (allestimenti scenografici, scenotecnici e illuminotecnici teatrali), Cascina Bollate (commercializzazione di piante), Out&Sider (telemarketing, call center), Stile libero (packaging), oltre alle imprese Bee-2 Srl (promozione di prodotti e servizi, controllo qualità) e Sst Srl (riparazione cellulari, call center).
Fatturato? 2 milioni di euro l’anno, otto cooperative e 200 detenuti coinvolti.
Tra queste realtà, quella della Cooperativa Alice che, attraverso i suoi corsi di sartoria, si occupa di laboratori, formazione, progettazione sociale e inserimento lavorativo nella sezione femminile del carcere diSan Vittore e in quello di Bollate.
Già in diverse occasioni, le detenute hanno visto le loro creazioni sfilare in passerella, con soddisfazione personale e professionale, e un occhio puntato al business. «L’obiettivo della cooperativa – spiega Luisa del Consiglio d’Amministrazione – è quello di avere una clientela che si affezioni ai nostri abiti non perché sono prodotti in carcere, ma perché sono fatti bene, belli e di qualità».
Una piccolo segno, che prova a ricucire ciò che si è spezzato per riequilibrare l’ago della giustizia sociale, dalla cruna sempre più stretta.
Si ringrazia Antonella Andriuolo di ASVI Social Change per il supporto alla stesura.