Il sindaco di Torino testimonia al processo per ricettazione e rivelazione di segreto d'ufficio contro Silvio e Paolo Berlusconi. E rivendica la celebre espressione "abbiamo una banca", perché "puramente informativa" su un importante caso economico-finanziario
“Una campagna di aggressione tesa a delegittimare me e il mio partito”. Lo afferma Piero Fassino, sindaco di Torino, ascoltato oggi come testimone a Milano nel processo sul passaggio di mano dell’intercettazione tra l’ex segretario dei Ds e Giovanni Consorte ai tempi della mancata scalata di Unipol alla Bnl. Una conversazione resa celebre dall’espressione usata dallo stesso Fassino: “Abbiamo una banca?“.
Il tema è principale, ha però sottolineato il dirigente democratico, “è accertare se quello che è stato fin qui denunciato, e cioè che la mia telefonata è stata consegnata ai fratelli Berlusconi, sia vero. E se è vero risulta evidente che ciò che è accaduto dopo è stata una trama ordita per aggredire la mia persona e il mio partito col fine evidente di delegittimarci agli occhi dell’opinione pubblica soprattutto alla vigilia di un passaggio elettorale delicato”.
L’intercettazione finì infatti su Il Giornale il 31 dicembre 2005, quando non era stata ancora depositata e neppure trascritta dal cd registrato dalla Guardia di finanza, che indagava sui retroscena delle scalate passate alla storia come il caso dei “furbetti del quartierino” (qui la ricostruzione del “Watergate italiano” realizzata da ilfattoquotidiano.it).
“Quando lessi sul ‘Giornale’ la pubblicazione di quella telefonata – ha ricordato Fassino, rispondendo alle domande del suo legale, l’avvocato Carlo Federico Grosso – ebbi una reazione di grande stupore. Si trattava di una telefonata dai contenuti puramente informativi, senza alcun rilievo giudiziario. Una telefonata che un dirigente politico fa normalmente nei suoi rapporti con il mondo economico e finanziario”.
Oggi, al processo che vede imputati Silvio e Paolo Berlusconi con le accuse, a vario titolo, di concorso in rivelazione del segreto di ufficio e ricettazione, hanno testimoniato anche il parlamentare Valentino Valentini e Maurizio Romiti. Valentini ha riferito, in particolare, di un incontro avuto nel 2005 a palazzo Grazioli con, in particolare, Roberto Raffaelli (amministratore della Rcs, la società di intercettazioni telefoniche, coinvolto nel procedimento, ndr), su sollecitazione di Paolo Berlusconi per interessi che l’imprenditore maturava verso la Romania.
Il difensore di Silvio Berlusconi, l’avvocato-parlamentare Piero Longo, che difende l’ex premier, ha chiesto più volte a Fassino se abbia quantificato la somma che intende chiedere come risarcimento, accusandolo di di volere “solo del denaro”. Fassino ha risposto che il suo primo obiettivo è che “la giustizia riconosca che io sono stato oggetto di una aggressione che mi ha danneggiato”.