Stamane il deposito in Corte d’appello della proposta di referendum propositivo sulla legge di iniziativa popolare per una gestione pubblica e partecipata del servizio idrico nella Regione Lazio. Questo segna un nuovo passo avanti nel processo di sottrazione al mercato di un bene/diritto essenziale alla vita e al quale il pensiero unico neoliberista si ostina invece ad affibbiare l’etichetta di «bene di rilevanza economica» e perciò mercificabile. Il testo, frutto del lavoro comune delle realtà aderenti al comitato promotore, è stato innanzitutto reso noto ai cittadini del Lazio che lo hanno supportato con le oltre 30.000 firme raccolte nel corso della campagna di sensibilizzazione, forte di questo sostegno, viene oggi depositato in Corte d’appello da parte dei sindaci i cui Comuni hanno votato a maggioranza dei due terzi la delibera di approvazione del referendum propositivo sulla cui ammissibilità dovrà ora pronunciarsi la Corte.
È da evidenziare in primis la novità di un referendum propositivo: la Costituzione italiana infatti non prevede né questo né quelli deliberativi e legislativi, rinchiudendo nei limiti della dinamica abrogativa l’unico strumento previsto di democrazia diretta. Il d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) stabilisce però, al punto 3 dell’art. 8, che gli enti locali debbano prevedere nei propri statuti forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati.
Capofila nell’introduzione dei referendum propositivi sono state la regione autonoma della Valle d’Aosta e la provincia autonoma di Bolzano. Anche la Regione Lazio ha poi previsto nel proprio statuto questo strumento di partecipazione (art. 62, Legge Statutaria 11 novembre 2004 n. 1, Nuovo statuto della Regione Lazio): per poter essere ammesso, il referendum propositivo sulla proposta di legge in materia di «Tutela, governo e gestione pubblica delle acque» doveva essere supporta da 50.000 firme o dall’approvazione a maggioranza dei due terzi di 10 o più Comuni che rappresentassero almeno 100.000 elettori.
Il traguardo è stato ampiamente raggiunto rappresentando i sindaci dei Comuni che oggi hanno depositato la proposta più di 220.000 elettori. Rispetto ad una legge di iniziativa popolare il cui iter rimarrebbe subordinato alla volontà dei rappresentanti eletti di inserirla o meno nell’ordine del giorno dei lavori consiliari, il referendum propositivo impone dei limiti più stringenti al libero arbitrio di amministratori sordi alle istanze popolari.
Il Consiglio regionale ha infatti l’onere di deliberare sulla legge proposta e, se non l’approva, deve comunque legiferare sulla materia e senza discostarsi dalla ratio del testo; se, entro un anno dalla dichiarazione di ammissibilità della Corte, la legge non viene discussa, il Presidente della Regione è tenuto ad indire le consultazioni referendarie, rimettendo alla volontà popolare l’approvazione del testo. Precisiamo che, come espressamente previsto dall’art. 62, punto 5, dello Statuto, la proposta di legge oggetto di referendum non decade alla fine della legislatura e, poiché è piuttosto la legislatura della regione Lazio ad essere decaduta più che finita, il testo oggi depositato in Corte d’appello è destinato ad entrare con forza nella prossima campagna elettorale.
Per questo ed altri motivi, il percorso intrapreso oggi è da non sottovalutare: dopo il referendum dello scorso giugno, con l’abrogazione dell’obbligo di privatizzazione del servizio idrico, ritorna in vigore il quadro normativo europeo che dà ai Comuni la facoltà di scegliere tra gestione in house o affidamento ai privati, viene restituita quindi agli amministratori locali la responsabilità politica di scegliere tra le due opzioni, nella consapevolezza però che i cittadini oggi “propongono” una gestione pubblica e fuori dal mercato, inutile sottolineare quanto in tempi di campagna elettorale la volontà popolare assumerà tutt’altro peso agl’occhi di una classe politica ormai costretta dalla sua bassa qualità più che dall’antipolitica a mendicare voti.
Entro il 31 dicembre 2012, inoltre, le Regioni sono chiamate a ridisegnare gli ambiti di bacino idrografico secondo criteri di razionalizzazione; ebbene, nelle intenzioni della ormai passata legislatura regionale, tale razionalizzazione si traduceva nella costituzione di un ambito unico comprendente l’intero territorio regionale, tale schema, che costituisce un pacchetto unico con i processi di costituzione di una holding multiservizi per il Lazio e di privatizzazione che già avevano investito Acea, avrebbe significato, innanzitutto, una discrepanza tra il dato geografico costituito dalla distribuzione delle fonti idriche tra i vari Comuni e la gestione politico-amministrativa del servizio idrico, facendone decadere il legame con il territorio e i cittadini e svuotando ulteriormente il ruolo degli enti locali.
La proposta di legge prevede invece che la Regione individui gli Ambiti di Bacino Idrografico le cui Autorità saranno tenute ad operare nel rispetto del diritto all’acqua, dell’ecosistema e dalla naturale capacità di ricostituzione del patrimonio idrico. Non unʼunica grande autorità regionale che accentri su di sé i poteri di gestione di tutto il sistema idrico ma attuazione del principio di cooperazione fra gli enti locali e la Regione Lazio per l’organizzazione e la gestione del servizio idrico integrato, nel rispetto delle comunità locali e della geografia dei territori e non in nome del centralismo amministrativo e dell’interesse economico: «ad ogni Ambito di Bacino Idrografico – recita il testo – partecipano gli enti locali il cui territorio ricade, anche parzialmente, all’interno del bacino idrografico».
Insomma è la rivolta dei piccoli Comuni stanchi di essere asserviti agli interessi della classe politica capitolina ma è, soprattutto, una reazione che dal basso vede unirsi i movimenti per l’acqua a livello regionale, a simboleggiare una comunità intenzionata ad affermare la partecipazione democratica oltre il concetto di proprietà pubblica o privata.
Stamane poi è stata depositata in Corte d’appello anche la proposta di referendum abrogativo dello scenario di controllo del Piano regionale rifiuti, che prevede la distribuzione sul territorio regionale di inceneritori e discariche nel caso in cui, come è ovvio che sia dato il margine temporale ristretto, non vada in porto la prima parte del piano stesso, quella in cui si prevedono riciclo, compostaggio, raccolta porta a porta e, in sostanza, una gestione sostenibile del ciclo dei rifiuti. Anche su questa proposta referendaria, fondamentale è stato il voto rabbioso dei piccoli Comuni – 12 quelli che hanno deliberato – stanchi di assorbire i rifiuti in gran parte prodotti da Roma e gestiti senza nessun riguardo per la salute dei cittadini e gli equilibri ambientali.