Si è molto parlato di diritto e libertà, in queste ore, a causa della sentenza che riguarda un giornalista, Alessandro Sallusti, e la sua condanna a 14 mesi di carcere per omesso controllo su un articolo firmato con uno pseudonimo.

Si è molto discettato intorno all’idea che Sallusti sia stato condannato per un reato di opinione, che i giornalisti non vadano condannati al carcere, che la condanna, insomma, sia abnorme.

In realtà, molti commentatori hanno omesso di ricostruire la vicenda per come essa è, con i suoi vari elementi costitutivi e i suoi personaggi.

Cominciamo da questi ultimi.

I personaggi non sono un giornalista (Sallusti) e un diffamato qualsiasi (il giudice). Se andate pazientemente a rileggere l’articolo incriminato (vi ricordo qui il titolo: “Il giudice ordina l’aborto. La legge più forte della vita”), concorderete che qui si tratta di un giornale (Libero) messo al servizio di una crociata: era infatti un editoriale, una sortita dell’intera testata su una coppia di donne, una tredicenne e la sua madre adottiva. La prima, diceva l’articolo, era contraria a interrompere una gravidanza inaspettata: non era vero, era d’accordo. La seconda era colpevole per l’autore (Dreyfus alias Renato Farina secondo le sue stesse ammissioni) e per la testata (visto che l’ha pubblicato) di essersi battuta perché la figlia avesse la possibilità di autodeterminarsi. La quale possibilità, è bene tenerlo a mente, è prevista e consentita dalla legge.

Ma questo dà talmente fastidio a una parte di questo paese da rendere necessario, ogni volta che se ne ha occasione, di montare campagne. Se ci sono gli elementi, bene. Altrimenti si alterano i fatti in modo da creare l’evento, anche se è falso.

Da qui nasce la querela: il magistrato si è ritenuto diffamato perché Libero ha scritto il falso (non un’opinione, un fatto) sul suo provvedimento. Va ricordato (e lo ricorderemo ogni volta) che il giudice non permette l’interruzione di gravidanza della minore ma soltanto consente o meno alla minore di decidere da sola (senza il parere dei genitori, in questo caso del padre separato perché la madre era d’accordo), dopo avere sentito la valutazione del consultorio competente. Un falso, ricorda in queste ore l’intera rete, che era già stato smentito prima che Libero aprisse il fuoco.

Quanto al passaggio sulla pena di morte a genitori, giudici e medici, quella sì è un’opinione: Dreyfus-Renato Farina può pensare quello che gli pare. Quello che non può fare è scriverlo su una testata giornalistica, essendo stato cacciato dall’Ordine (che in questa storia ha dimostrato tutta la sua pochezza, perché magari un intervento disciplinare tempestivo avrebbe convinto i giudici ad emettere una sentenza diversa).

Ora però una domanda, ai giornalisti: perché l’intera corporazione è balzata come un sol uomo (da destra e da sinistra, tutti maschi) in difesa di Sallusti? Le sentenze della magistratura non vanno accettate anche se non le si condivide? O si devono accettare solo quando riguardano mafia, terrorismo, politica?

La si smetta di dire che questi sono reati di opinione. L’articolo di Libero è una delle cose più indegne, per chi si dichiara giornalista, degli ultimi anni. E l’autodifesa secondo cui è stato pubblicato all’insaputa del direttore non convince nessuno. Provate a dire anche questo, come un sol uomo. E allora, forse, le donne si diranno d’accordo a sospendere la pena.

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