Fiaba nera e distopica, come solo la realtà sa essere. La storia è ormai nota. Il pescivendolo napoletano Luciano (l’ergastolano Aniello Arena, attore teatrale per la Compagnia della Fortezza di Armando Punzo, qui all’esordio sul grande schermo: promosso a pieni voti!) fa piccole truffe con la moglie Maria (Loredana Simioli) per arrotondare. Spinto dai familiari e dal quartiere tutto, cerca di esportare la sua naturale inclinazione allo spettacolo sul piccolo schermo, partecipando a un provino per il Grande Fratello.

“Se Bellissima di Visconti è un riferimento, allo stesso modo questo film è vicino alle atmosfere di Eduardo De Filippo, alla commedia all’italiana di Monicelli, a Matrimonio all’italiana di De Sica. Esempi di quel cinema prestigioso, meraviglioso degli anni ’60 e ’70”. Parola di Matteo Garrone, che dopo il Grand Prix all’ultimo festival di Cannes oggi porta in sala Reality. Con una significativa nota a margine: “Abbiamo schivato le trappole della denuncia e degli intenti pedagogici: Reality osserva dall’interno, con umanità i personaggi, senza prendersene gioco”.

Ma qual è il primo di tutti i reality? La famiglia. Perché Luciano sogna il reality con la maiuscola, la Casa, il Grande Fratello, ma già lo vive in un’altra casa, la sua. Il film si apre con un suggestivo, virtuosistico carrello aereo sul cocchio che porta due sposi verso una fabbrica di matrimoni (già inquadrata da Garrone in Oreste Pipolo, fotografo di matrimoni, 1998 ): è l’inizio dell’odissea di questo povero cristo 2.0, che nell’attesa ossessiva di entrare nella Casa esce fuori di testa. Eh sì, regala i mobili ai poveri, si sente addirittura osservato da un Grillo Muto, che forse la produzione del GF gli ha messo in casa per metterlo alla prova. Non solo, si fa pure il suo confessionale privato, mentre la pescheria viene venduta e la moglie se ne va. Oppio (dei popoli) per oppio (dei popoli: Garrone non certifica, il dubbio rimane), Luciano pare rinsavire nel volontariato cattolico: va alla Via Crucis del Papa al Colosseo, ma a Roma anche la Casa è più vicina…  

Con diapason umanista, metronomo tra miseria (sociale) e nobiltà (televisiva) e la sua consueta capacità camaleontica di aderire all’habitat antropico, Garrone arriva  a mostrare che il reality oggi è modus vivendi, format esistenziale: non è più dunque la società dello spettacolo di Guy Debord, ma lo spettacolo della società. “Affrontiamo – dice Garrone – un problema esistenziale, non narcisistico, perché Luciano cade nelle trappole del sistema, ma anche io potrei farlo. Non è un discorso moralistico, ma ruota intorno ai modelli legati alla società dei consumi”.

E non è pura teoria, la sua, ma pragmatica delle seduzione: “Dopo Gomorra, volevo provare a cambiare genere, ritrovare leggerezza e libertà”, mentre dagli Stati Uniti, da Hollywood gli arrivavano fior di proposte per dare un seguito più o meno esplicito all’adattamento da Saviano: “Anche quelle erano seduzioni, magari andavo in America, manco riuscivo a girare un film, e mi perdevo”. Bontà sua, s’è ritrovato, e ora non perdiamolo noi questo Reality. Potremmo capire che abbiamo scelto (di vivere) tra finzione e realtà.

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