Il presidente dell'azienda ha spedito una nota ai tecnici dopo la richiesta di questi in cui lo invitavano a provvedere, come disposto dalla procura, alla definizione di un piano per la ricollocazione del personale degli impianti sequestrati. Che, fra l'altro, dovrebbe consentire anche la riqualificazione degli operai nelle operazioni di bonifica
Uno scontro in punta di penna. I quattro custodi giudiziari dell’Ilva si infliggono colpi attraverso lettere al vetriolo, evidenziando un divario troppo netto per essere colmato. Tra Bruno Ferrante da una parte e i tecnici Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento dall’altra, si gioca una partita a scacchi fatta di note firmate e finora riservate. Il via alla battaglia epistolare lo ha dato Bruno Ferrante, presidente del cda Ilva e amministratore nominato dal tribunale del riesame il 7 agosto, revocato poi dal gip Patrizia Todisco e infine reintegrato lo scorso 28 agosto.
Ferrante ha spedito una nota ai tecnici dopo la richiesta di questi in cui lo invitavano a provvedere, come disposto dalla procura, alla definizione di un piano per la ricollocazione del personale degli impianti sequestrati. Un piano che dovrebbe consentire anche la riqualificazione degli operai nelle operazioni di bonifica e quindi alla salvaguardia del posto di lavoro in caso di chiusura dello stabilimento. Ferrante, evidentemente, non ha gradito. “Non credo – ha scritto l’ex prefetto di Milano – che i custodi tecnici abbiano la responsabilità di invitare il custode responsabile a provvedere alla definizione di un piano operativo di gestione del personale”.
Il legale rappresentante legale dell’Ilva, forse, si è sentito punto nel vivo e così ha deciso di passare al contracco: “Sono semmai da discutere – ha rilanciato Ferrante – collegialmente le disposizioni tecniche in modo da armonizzarle con quelle relative al personale. Non mi pare neppure corretto che i custodi-tecnici indichino al custode-amministratore le modalità di gestione del personale (come quando si invita a prevedere “azioni mirate alla formazione e alla riconversione del personale”….), a seguito in particolare della procedura di fermata dell’altoforno 1. Tali indicazioni dovrebbero tutt’al più provenire dall’autorità che vigila sull’esecuzione dei provvedimenti del Tribunale del riesame, ma non certo da una parte dei custodi, che non hanno peraltro competenze specifiche nella materia”.
Eppure la richiesta dei tecnici non è affatto slegata dalle richieste formulate dalla procura che il 5 settembre scorso ha emanato un provvedimento che divideva nettamente le funzioni tra i tre ingegneri tecnici, a cui compete la “realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni pericolo e l’attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti”, e l’unica assegnata a Ferrante che deve occuparsi proprio delle “scelte gestionali riguardanti il personale addetto alle aree in sequestro”.
Non solo. Ferrante rinfaccia ai tecnici di non avere competenze specifiche in materia di gestione del personale, ma pretende di partecipare alle decisioni tecniche senza, tuttavia, ammettere di non possedere a sua volta quelle competenze. Lo staff guidato da Barbara Valenzano però non ha incassato, anzi ha risposto punto su punto. Hanno condiviso la necessità di un lavoro collegiale, ma hanno sottolineato di non aver ricevuto alcuna proposta di incontro da parte di Ferrante. Hanno poi lanciato l’affondo sottolineando come gli “aspetti connessi alla gestione del personale e agli aspetti amministrativi economico-finanziari per i quali almeno parzialmente la società ha convenuto, sono bloccati” e che da alcuni giorni sarebbero impossibilitati a raggiungere la palazzina direzionale dell’Ilva perché “il presidente effettua incontri sindacali, conferenze stampa e visite di cortesia”.
I custodi tecnici, sottolineando il doppio ruolo di presidente del cda Ilva e di amministratore giudiziario rivestito da Ferrante – che per il gip Todisco rappresentava un palese conflitto di interessi – hanno chiarito che questo non deve “inficiare il processo di eliminazione delle situazioni di pericolo affidato a tutti i custodi-amministratori e che dovrà essere attuato in tempi immediati”. Pur comprendendo “l’esigenza del presidente del consiglio di amministrazione della società Ilva di perseguire la difesa, anche attraverso i media, dell’immagine aziendale” i custodi si sono detti certi del fatto che “la tutela della salute dei cittadini, dei lavoratori e del loro lavoro” resti “un obiettivo primario”. Ma non è tutto. I tecnici hanno poi chiaramente puntato il dito contro Ferrante in merito alle proteste clamorose inscenate dagli operai negli ultimi giorni. “Gli ultimi eventi di protesta determinatisi a seguito delle sue dichiarazioni stampa e comunicazioni alle organizzazioni sindacali, di cui i custodi tecnici non hanno neanche piena conoscenza, stanno mettendo in pericolo l’incolumità dei lavoratori e della popolazione”.
I tencici hanno così informato la procura della Repubblica declinando ogni responsabilità dai “gravi rischi che non sono connessi alle ordinarie attività lavorative ed al normale esercizio degli impianti”. La battaglia epistolare, quindi, sembra destinata a continuare.