Mohammed el Marough ha spiegato che ai tempi non era "a conoscenza" del fatto che Karima frequentasse l'ex premier e, nonostante la sollecitazione del giudice che sulla scorta delle intercettazioni ne contesta i tempi, ha più volte ribadito di avere appreso il fatto dai giornalisti
Rischia un’incriminazione per falsa testimonianza M’hamed El Mahroug il padre di Ruby, sentito oggi come testimone nell’aula del processo che vede imputati Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti per favoreggiamento e induzione alla prostituzione.
Il pm Antonio Sangermano ha contestato al padre di Ruby alcune intercettazioni da cui risultano alcuni dei suoi discorsi con la figlia. Il 30 settembre 2010, mentre la madre della ragazza veniva sentita dagli investigatori, Karima diceva al telefono al padre: “Le hai detto di non dire niente riguardo a Silvio?”. E il papà rispondeva: “Sì, non dirà niente, gliel’ho raccomandato”. In quella intercettazione si parlava anche di un deposito di soldi. Il padre della marocchina più volte, di fronte alle contestazioni del pm e del giudice, ha risposto: “Io non sapevo niente di Silvio, l’ho saputo solo dopo da un giornalista”. Però il primo articolo sul caso Ruby uscì il 26 ottobre 2010, ossia dopo le intercettazioni. Nel corso del suo esame il padre di Karima ha raccontato gli anni in cui la figlia, appena quattordicenne, aveva cominciato a scappare da scuola e da casa ed era poi stata messa in comunità. “Voleva solo soldi, ma noi non ne avevamo”. Poi ha aggiunto: “Volevo solo vivesse onestamente”.
Sulle serate di Arcore Lele Mora, ex agente dei vip oggi presente nell’aula del processo, ha dichiarato: “Lì si mangiava e si stava bene. Il bunga bunga? Solo una barzelletta”. E su Silvio Berlusconi ha detto: “E’ innocente. Comunque spetterà alla magistratura stabilirlo, ma io credo proprio che sia innocente”.
E Emilio Fede, sulle affermazioni di Luigi Sorrentino, brigadiere capo, per tre anni componente della sua scorta, ha detto che i particolari che lui ha riferito durante il processo “non soltanto non corrispondono alla verità, ma violano gravemente la privacy”. “Una testimonianza – ha continuato Fede – che prova come, anziché alla mia tutela, il Sorrentino si faceva carico di sapere quante ragazze partecipavano alla cena, di che colore erano vestite, di quale possibile somiglianza una di loro poteva avere con Ruby. Perfino se indossavano oppure no biancheria intima. Domanda legittima: era carabiniere che doveva occuparsi della mia vita, o 007 al servizio di non si sa chi?”. Fede ha concluso che “dopo la deposizione al processo Ruby di tale Sorrentino, carabiniere che era addetto alla mia tutela fisica, minacciata giorno e notte come provano decine di denunce, deciderò se rinunciare ad essere protetto”.