Esposte le camicie di forza, macchine per l’elettroshock e i famigerati caschi del silenzio, usati per isolare i pazienti. Un’urna degli inizi dell’800 utilizzata per far cadere gocce d’acqua sulla testa del malato per calmarlo
Camicie di forza. Macchine per l’elettroshock. I famigerati caschi del silenzio, usati per isolare i pazienti. Un’urna degli inizi dell’800 utilizzata per far cadere gocce d’acqua sulla testa del malato per calmarlo. Un apparecchio per il bagno di luce, che per gli ideatori avrebbe dovuto avere un effetto analgesico. Sono i pezzi forse più d’impatto del Museo di Storia della Psichiatria, che aprirà i battenti domani a Reggio Emilia nell’edificio che dal 2 marzo 1945 al 6 dicembre 1948 ospitò tra gli altri anche il celebre pittore Antonio Ligabue. Ligabue nacque in Svizzera, ma i suoi genitori erano di origine emiliane e vi tornò presto per poi iniziare a dipingere sulle rive del Po. Venne una prima volta internato per atti di autolesionismo, nel 1945, invece, fu spedito al manicomio perché spaccò una bottiglia di vetro sulla testa di un gerarca nazista. Il suo genio venne scoperto da un giornalista e critico del Carlino. Ma raggiunse fama e gloria solo dopo la sua morte, quando venne paragonato a Van Gogh.
Il museo avrà sede nel padiglione Lombroso, che nel 1891 fu concepito nell’ospedale San Lazzaro come reparto per malati cronici tranquilli e intitolato al primo direttore dell’ospedale, Antonio Galloni. Poi trasformato nel 1911 nella Sezione Lombroso, appositamente progettata per ospitare pazzi criminali dimessi e detenuti alienati. Quindi, a partire dal 1972, gradualmente abbandonato.
Il recupero del padiglione Lombroso, concluso l’anno scorso, è stato realizzato dal Comune in accordo con l’Asl, proprietaria dell’immobile, ceduto in comodato d’uso gratuito all’amministrazione. Ristrutturarlo è costato 3,1 milioni di euro, di cui circa 2 dal Ministero per i Beni culturali, 1 dal Comune, con un contributo di 15.000 euro dall’Istituto per i beni artistici della Regione Emilia-Romagna.
Nel restauro si è cercato di rievocare l’atmosfera del luogo, recuperando i segni lasciati dai pazienti: particolare attenzione infatti è andata alla conservazione dei graffiti con cui, nei decenni, i ricoverati hanno ricoperto i muri di cortile e celle. Disegni di case ed edifici, ma anche, per esempio, dei bombardamenti del periodo della guerra, nel probabile tentativo dei reclusi di evadere dall’isolamento. Nel museo ora si possono vedere anche documenti, strumenti di contenzione e terapia o scientifici, foto storiche, cartelle cliniche, video su temi psichiatrici. Tutto diviso in due sezioni. Nelle celle al piano terra infatti sono esposti gli strumenti, tra cui quelli più choccanti come, appunto, i caschi del silenzio. Nei tre saloni che precedono le celle invece è illustrata la storia del San Lazzaro e degli intrecci con la storia della psichiatria, della quale l’istituto reggiano fu per molti anni uno dei più significativi presidi in Italia.
L’inaugurazione, domani nella giornata conclusiva della VII Settimana della salute mentale, a cui parteciperà anche il sindaco Graziano Delrio, è uno dei momenti con cui i Musei reggiani partecipano alle Giornate europee del Patrimonio 2012, promosse dal Mibac.