Che i social network fossero formidabili strumenti di controllo sociale era ormai evidente: qualsiasi cosa facciamo sulla rete, qualsiasi messaggio, mail o post inviamo, lascia una traccia elettronica permanente che può essere utilizzata da chi vi ha interesse per le ragioni più disparate. 

Più che una “servitù volontaria”, per dirla con le parole di Etienne de laBoétie, si tratta di una vera e propria rinuncia alla privacy, alla libertà personale. Come tanti Lemmings – Ferrarotti parla addirittura di Un popolo di frenetici informatissimi idiotiin un libro appena edito da Solfanelli – ci gettiamo nell’oceano dell’illibertà, sottoponendoci volontariamente all’asservimento di oscuri padroni delle nostre vite con l’entusiasmo di chi pensa di aver ottenuto piena libertà d’espressione.

La disponibilità di accesso alla rete dà l’impressione di una grande libertà d’azione, invece nasconde trappole micidiali, peggiori di ogni divieto di comunicare. Lo scrive a chiare lettere Zygmunt Bauman nel nuovo libro che esce a ottobre in Inghilterra, Liquid Surveillance (con David Lyon), dedicato al nuovo Panopticon della società moderna: la rete.

L’inferno in cui tutti diventiamo visibili e possiamo essere osservati da un potere invisibile. Più che un Grande Fratello, una divinità mostruosa e senza volto, onnipresente, capace di controllare il comportamento, le opinioni, i desideri, le inclinazioni e il pensiero di milioni di persone senza essere visto. E di tenerne conto al momento opportuno. La sottomissione volontaria al nuovo Panopticon, tuttavia, non è dovuta al bisogno di trasparenza e razionalizzazione, come era stato per Bentham nel Settecento, ma al desiderio di ritrovare la comunità perduta.

Quella condizione di calore e soddisfazione che è venuta a mancare nella società liquida per effetto dell’indebolimento dei legami personali e familiari di cui abbiamo bisogno per sentirci vivi, per sapere che esistiamo. È la voglia di comunità, la voglia di far parte di un tutto e di essere riconosciuti come individui che ci spinge a ricercare nella rete ciò che è andato perduto nella realtà quotidiana. Una debolezza che ci mette a rischio: il nuovo Panopticon non potrebbe essere utilizzato, oltre che per promozioni commerciali e di marketing, anche per scopi politici?

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