Ogni ora, quattro donne italiane scoprono di avere un tumore al seno. Ogni anno sono 40mila, dato che si è quadruplicato dal 1970 ad oggi. Morti, malattia e business spesso inutili, mercati che macinano soldi e che pesano sul portafoglio delle famiglie interessate per un valore di quasi 30mila euro in due anni e mezzo.
Lasciano senza fiato i numeri che snocciola la nuova ricerca sul cancro alla mammella pubblicata dalla Lega tumori di Lecce. Riprende lo studio dell’Associazione italiana registri tumori ed è impietosa: una donna su otto è a rischio e questo tipo di neoplasia rappresenta il 28,9% complessivo delle diagnosi di tumore, contro il 26,7% degli anni ’90. Sono le aree centro-settentrionali le più colpite rispetto al Meridione, ma le differenze tendono ad affievolirsi, visto che il numero di casi sta crescendo più rapidamente proprio al Sud.
“Un’esplosione dell’incidenza drammatica, che finisce per annullare del tutto i faticosi e costosi successi ottenuti sul fronte delle cure – spiega l’oncologo Giuseppe Serravezza – Certo, si è riusciti a raggiungere l’85% di guarigioni, ma diecimila donne muoiono ogni anno e ciò ci obbliga ad andare oltre l’atteggiamento prevalente della medicina di rispondere solo con ospedali supertecnologici, farmaci intelligenti, esami sofisticati, protesi avanzate”. È per questo che la Lilt, dal Salento che è diventato un caso nazionale per i decessi oncologici, insiste sulla prevenzione primaria ambientale.
“La predisposizione genetica incide solo per un 5 per cento dei casi – insiste Serravezza – Uno dei fattori di rischio più documentati è, invece, l’esposizione agli estrogeni prodotti dalle ovaie. Ogni gravidanza la riduce del 7 per cento. In una società in cui si hanno meno figli o non se ne hanno affatto, questo è significativo. Tuttavia, sono le cause ambientali ad essere considerate le responsabili di quella frazione di casi in costante aumento e che non trova spiegazione nei fattori noti o accertati. Preoccupante è soprattutto l’esposizione a sostanze chimiche, specie se avviene nei periodi cruciali dello sviluppo, il periodo embrionale-fetale e la pubertà”.
Incrociando dati dell’Istituto superiore di sanità e dati Istat relativi all’intero territorio italiano, la Lega Tumori ha fatto emergere che, dal 1970 al 2010, l’incidenza totale, la diagnosi cioè di nuovi casi, è cresciuta a ritmi vertiginosi, da 11.600 a 40mila donne ogni anno. È lievitata la mortalità, passando da 10.900 decessi nel 1990 a 12.200 nel 2009. È esplosa letteralmente la prevalenza, vale a dire il numero di donne che, in un determinato anno, risulta aver avuto una storia di cancro al seno, per averlo scoperto in quel periodo o precedentemente. Le 48.200 pazienti del 1970 si sono moltiplicate in 490.000 due anni fa, dieci volte di più, dato che in alcune regioni, come la Puglia, sale a dodici.
“Ma per non fermare l’analisi scientifica ai trionfalismi della medicina che cura e che salva, siamo andati oltre – spiega la psico-oncologa Marianna Burlando – Abbiamo voluto far emergere i costi materiali, morali ed emotivi delle 400mila donne italiane che combattono, oltre che la malattia, anche i pregiudizi, l’isolamento sociale, l’impoverimento economico, le crisi familiari e gli abbandoni coniugali. Una cruda realtà per le donne e l’istituzione latita su tali disagi e tali problemi”.
Ci sono i costi a carico del Servizio sanitario nazionale e che in media, per intervento chirurgico, sedute di radioterapia, cicli di chemioterapia e controlli, si aggirano intorno ai 15.558 euro, cifre tarate dalla Lilt nazionale su quelle che si riscontrano nella sanità pubblica lombarda. Il 14% del totale delle spese mediche, però, è a pagamento e si spendono all’incirca 473 euro per visite specialistiche, 537 per esami vari, 309 euro per fisioterapia e riabilitazione, 269 euro per farmaci, 3.688 euro per la chirurgia ricostruttiva e mastoplastica. A carico delle pazienti, poi, è l’80% dei presidi sanitari, tra cui le parrucche (in media 336 euro) e le protesi mobili o reggiseni speciali (194 euro). Le spese per la gestione familiare per colf, badanti, baby sitter, calcolate su un periodo medio di due anni e mezzo, sono pari almeno a 1.527 euro. Le sempre più frequenti trasferte pesano, invece, sui portafogli familiari, almeno 668 euro.
Di mezzo c’è, poi, il business del superfluo, da quello legato alla cosmetica a quello dei controlli intensivi spesso controproducenti. Un pezzo di economia che si regge sul malessere psicologico delle persone colpite.
C’è un altro dato, eloquente nella sua drammaticità, a fornire un’ulteriore spia del risvolto sociale del cancro al seno. Quasi una donna su due, il 47% del totale, ha dichiarato di aver subito una riduzione del reddito da lavoro tra il 10 e il 40%. Ecco perché ad ognuna la malattia costa tra i 24.822 e i 28.523 euro e non tutte ce la fanno.
“Tacere gli handicap, le invalidità, le perdite è omissione di verità, è mascheramento della realtà – incalza la Burlando -. E’ pubblicità ingannevole, spesso attuata ad arte con la complicità di volti femminili noti, di donne passate attraverso la malattia che, da testimonial mediatiche quali sono, rincarano il messaggio che dal tumore si esce meglio di prima. Il risultato è che si finisce per perpetuare il dominio dei poteri forti, come i mezzi di comunicazione, la ricerca delle cure e non per prevenire la malattia, l’economia della spesa sanitaria. E questi compaiono, guarda caso, solo dove girano gli interessi”. Ecco perché prevenire, a qualcuno, non conviene affatto.