Siamo tra quelli che hanno subito detto no al carcere per Sallusti e sì alla abrogazione di norme vecchie e pericolose. Per questo non ci interessano norme “ad personam”, ma solo provvedimenti che abbiano valore generale e si ispirino all’articolo 21 della Costituzione.

Ci permettiamo anche di dire che il no al carcere non può significare il via libera ai pestaggi mediatici, ai dossier prefabbricati, ai giornalisti che si travestono da agenti  dei servizi o che, addirittura, risultano sul libro paga degli spioni. 

Esiste, deve esistere, una apprezzabile differenza tra il cronista che trova “il fatto” , lo rende pubblico, pretende riposte , non guarda in faccia nessuno, e l’infame che si presta ad operazioni concordate e programmate per colpire e diffamare l’avversario, ancora peggio se la vittima è persona sgradita all’editore.

Chi, in questi giorni, e noi tra questi, ha giustamente detto no al carcere per Sallusti, ha ora il dovere di chiedere che siano fatte pubbliche scuse al giudice Cocilovo che ha subito una diffamazione grave, esattamente come era accaduto al giudice Mesiano, reo di aver scritto il verdetto sulla vicenda Fininvest Mondadori.

Se il Giornale non lo farà, e non lo ha fatto neppure nel recente passato, questo compito spetterà a ciascuno di noi perché, altrimenti, la battaglia di questi giorni avrebbe uno  sgradevole sapore corporativo, del tipo “Cane non morde cane”. 

Chi ha lanciato lo slogan “Siamo tutti Sallusti”, slogan da dimenticare in tutta fretta, avrebbe oggi il dovere di aggiungere “Mai più un altro caso Boffo, Cocilovo, Mesiano…”

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