La costruzione, fatta di legno e rivestita di cartapesta, è stata devastata su ordine della Procura perché è segno del potere camorrista. Una tradizione che nascondeva i soldi dell’estorsione. Infatti il clan Cuccaro-Aprea-Alberto pretendeva il pizzo dai commercianti attraverso la vendita dei gagdet
Colpito il simbolo e la cassa del clan. L’operazione, condotta dai carabinieri su ordine della Procura antimafia di Napoli, pm Vincenzo D’Onofrio, ha demolito il giglio, l’incrocio tra sacro e profano. Il sacro è la devozione verso il santo locale, il profano è il business che ruota attorno alla consueta festa dei gigli, gli enormi obelischi portati a spalla dai cullatori. La festa, nata a Nola, comune in provincia di Napoli dove ormai costituisce un evento della tradizione popolare cattolica, è stata ereditata anche da altri centri della provincia. Oggi Barra, quartiere popolare partenopeo, è in subbuglio: si celebra l’evento atteso per un intero anno, ma non ci sarà il giglio della ‘paranza Insuperabile’. La paranza è il gruppo di persone che porta a spalla l’obelisco, sul quale prende posto una banda musicale che accompagna le ‘alzate’ della torre lignea con musica e canzoni.
Il giglio è stato distrutto su ordine della Procura, l’ordinanza è firmata dal gip Antonella Terzi. La costruzione, fatta di legno e rivestita di cartapesta, è stata devastata dai vigili del fuoco perché è il simbolo del potere camorrista. E i simboli per il crimine organizzato sono la sostanza della loro forza sociale. Dietro il giglio giravano anche i soldi dell’estorsione. Infatti il clan Cuccaro-Aprea-Alberto, un’organizzazione criminale che dopo la dissoluzione del clan Sarno aveva esteso il proprio strapotere anche nel comune di Cercola, pretendeva il pizzo dai commercianti attraverso la vendita dei gagdet. “In questa sventurata terra ogni iniziativa – ha commentato il gip -, anche quella apparentemente più innocua e commendevole, è destinata a essere sfregiata, infiltrata, sfigurata dalla prepotenza dei criminali”. Anche a Nola, nella festa di quest’anno, la rissa che aveva rovinato la festa era stata provocata dal giglio. Quella torre non ha nulla di sacro, e “l’Insuperabile” è il “ Giglio della famiglia Cuccaro, oscuro simbolo di una camorra – prosegue il gip – che ha bisogno di mostrarsi e che sceglie, per farlo, le occasioni e i metodi più plateali. Così, quell’altissima torre di legno, istituita per rendere omaggio a un sant’uomo, diventa sacrilego strumento di sfida alla legalità e mezzo visibile, beffardo e irridente, di controllo di intere comunità, rassegnate e vinte”.
Il pentito Salvatore Manco racconta che il 1996 è l’anno di svolta: i clan non finanziano più l’organizzazione dei gigli, anzi. Accade il contrario. E nel febbraio 2009 spiega: “Per sottolineare che il ’96 era un anno di pace tra i vari clan, in occasione della ‘festa dei gigli’, noi Aprea-Cuccaro-Alberto facemmo i gigli con la “paranza ‘Insuperabile’ (…) Tutti i responsabili dei gigli, ad eccezione di quello dei Sarno, quell’anno dettero una quota di 2 milioni di lire a testa al clan, così invertendo la tendenza precedente che aveva visto sempre i clan finanziare i gigli e non viceversa”. Estorsioni, padrini dei gigli che venivano scelti tra boss e gregari, portati su fiammeggianti autovetture. “Un’orgia volgare di sopruso e cattivo gusto” la definisce il gip. I costruttori non chiedono il dovuto, gli imprenditori pagano il pizzo anche per installare le luminarie, tutto al servizio della cassa del clan.
Nel provvedimento del giglio di Barra vengono riportate le immagini del video, vincitore del Premio Ilaria Alpi, ‘Il bacio del padrino’ riferito all’ultima edizione della festa, quella del 2011, quando l’insuperabile celebrò il potere e la camorra di Angelo Cuccaro, oggi latitante, baciato dal padre Antonio, e di Andrea Andolfi, oggi in galera. Non è cambiato nulla per questa edizione come dimostrano le intercettazioni e gli elementi raccolti dagli investigatori. Così mentre in molti, chiesa locale in primis, non hanno mosso un dito, la procura e i carabinieri hanno rotto l’incantesimo dei padrini: sequestrando e distruggendo il loro simbolo che vale più di bombe e fucili: “Le sue potenzialità – conclude il gip – i messaggi che riesce a veicolare, il significato recondito di quel legno, di quella cartapesta, di quelle insegne valgono, per il clan, molto più di un intero arsenale”.