Erano già arrivati i poteri forti, Confindustria, la Cei, la finanza internazionale. Poi Angela Merkel si era lasciata sfuggire un sincero “quanto lavora bene come premier”. E persino Marchionne, che certo negli ultimi tempi qualche problema con lui l’ha avuto, si era speso per considerare un bis di Mario Monti a palazzo Chigi come “un passo avanti per il Paese”. Alla fine, un endorsement prestigioso e inatteso, è arrivato da Luca Cordero di Montezemolo. Che, in buona sostanza, ha ammesso di rinunciare a candidarsi perché “Monti dopo Monti”, per dirla con Casini, è anche la sua opzione primaria.
Il partito di Monti, dunque, cresce a dismisura con il passare dei giorni anche se mancano sette mesi all’apertura delle urne politiche (si voterà il 7 e l’8 aprile 2013). Si sa, però, che al Senato si sta costruendo una legge elettorale che favorirà una grande coalizione capace di sostenere un governo più politico di quello attuale, ma di certo – a questo punto – ancora a guida Monti. Gianfranco Fini è stato chiaro: “Bisogna evitare che questo governo sia una parentesi”, subito seguito a ruota da Casini, primo e vero sponsor del secondo round del professore: “Se qualcuno pensa che Monti sia un incidente è fuori di senno”. Uniche voci fuori dal coro, quella del segretario pidiellino Alfano, che comunque senza troppa convinzione ha buttato lì che “se Monti vuole restare a palazzo Chigi deve candidarsi” mentre il no più netto è arrivato da Bersani: “Basta scorciatoie, la politica deve riprendersi il suo ruolo” e “tornare ad essere credibile”.
L’analisi è semplice: il segretario del Pd, unico partito che può vincere le prossime politiche (almeno a star dietro ai sondaggi e se le primarie non spaccheranno la base definitivamente in due) non ne vuole sapere di fare eventualmente un passo a lato per lasciare comunque la poltrona più alta del governo al professor Monti. Ma quella del Pd (anche Renzi, su questo fronte, viaggia sulla stessa lunghezza d’onda del segretario del Nazareno) è una posizione che rischia di isolarsi sempre più tra le forze politiche che comporranno la prossima maggioranza. Tutti gli altri, infatti, stanno giocando una partita diversa da quella di Bersani. E Casini lo ha intuito prima degli altri che c’è bisogno di un periodo di tempo piuttosto lungo di decantazione prima che davvero la politica possa fare quello che dice Bersani, ovvero tornare a essere credibile.
Siamo, insomma, in una fase che ricorda un po’ il ’92 anche se con caratteristiche molto diverse. La corruzione dilaga, ma è la crisi economica e la congiuntura internazionale dell’Europa a rendere più difficile (e più fragile) quel ricambio che l’inchiesta Mani Pulite, ormai vent’anni fa, mise in moto. Purtroppo con le conseguenze che poi si sono conosciute (Berlusconi al potere appunto per vent’anni). Ora, insomma, è diverso. Ma chiedendo a Monti di proseguire nell’opera di tenuta e di riforme avviata dal governo, non è vero che le forze politiche finiranno per delegittimare ulteriormente il loro ruolo. Casini, Fini, i “poteri forti” e la finanza che guarda ai mercati internazionali, hanno chiaro il quadro d’insieme; Monti rappresenta l’unico “ponte” per superare questa fase senza incorrere nel pericolo di dare spazio a derive populiste, come teme Napolitano, o – peggio – ad una sostanziale ingovernabilità che non farebbe altro che screditare ulteriormente l’Italia sui mercati mondiali. La crisi durerà almeno altri due anni. E i partiti hanno bisogno di almeno altri tre anni per depurarsi e rigenerarsi con uomini e donne nuovi, con idee e proposte che non leghino la politica alla gestione dell’emergenza, ma alla programmazione del futuro. Questa politica, insomma, non ha uomini, credibilità, mezzi e forza per proporsi alla guida di un Paese innegabilmente sfiduciato. E dove l’astensionismo, non a caso, sfiora oggi il 51% dell’elettorato. Il dato è, per altro, in crescita.
Ecco perché un appoggio così largo al Monti bis. Che – si badi bene – non è vissuto nello stesso modo anche dentro i partiti che compongono la maggioranza. Nel Pd, in barba a Bersani, c’è tutta l’ala cattolica che fa il tifo per Monti : “Colgo in modo positivo l’apertura del premier a un Monti bis”, ha detto l’altro giorno Beppe Fioroni capofila di una squadra di “montiani” interna ai “dem” che conta, tra gli altri, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Marco Follini, Paolo Gentiloni, Pietro Ichino, Salvatore Vassallo e Umberto Ranieri, interessati su questo tema al dialogo con quelli che sono anche gli interlocutori del leader centrista Casini. E cioè Carlo Calenda e Andrea Romano (Italia Futura di Montezemolo), Benedetto Della Vedova (Fli), il cattolico Lorenzo Dellai e l’ex rutelliana Linda Lanzillotta.
Sostiene Stefano Ceccanti, costituzionalista e senatore del Pd: “Questo problema della disponibilità di Monti non sarebbe emerso se Bersani si fosse mosso in una linea di coerente sviluppo di continuità con Monti”. Anche nel Pdl, comunque, le anime sono agitate. Se Berlusconi tentenna, facendo esporre Alfano verso la necessità di una candidatura politica per Monti, si deve comunque registrare un’apertura del duo Frattini-Gelmini al bis del professore e una porta spalancata da parte di una ex berlusconiana di ferro come Isabella Bertolini.
Il fronte pro Monti, dunque, scorre come un fiume carsico anche dentro quei partiti maggiori la cui posizione ufficiale è però il no al bis del professore. E se Di Pietro e Grillo dell’ipotesi non vogliono neppure sentir parlare, così come Niki Vendola e la sinistra estrema dei Ferrero e dei Diliberto, si deve registrare anche la posizione (da sempre) nettamente contraria di Oscar Giannino e del suo nuovo movimento “Fermare il declino”. Una vita trascorsa sotto le bandiere liberiste, Giannino non ha mai nascosto la sua contrarietà alla politica economica di Monti: “Sono molto deluso dal governo e da Monti – ha commentato qualche tempo fa parlando delle dismissioni che il governo aveva in ponte di fare a breve – che pure nel mio piccolo ho contribuito a legittimare di fronte a centinaia di migliaia di ascoltatori, prima della sua nascita e ai suoi primi atti”. La principale colpa di Monti & Co, secondo Giannino, è quella di non aver toccato “la montagna stregata della pubblica amministrazione; che pena questi tecnici che presentano come gran cosa tagliare 4 miliardi su 700 di spesa pubblica, cioè lo 0,5%, quando migliaia di imprese tagliano il 30% di costi in un anno”. Quindi è tornato alla carica: “Abbattere il debito con le cessioni pubbliche, ma nel frattempo tagliare anche la spesa per un equilibrio di entrate a un livello ben più basso di quello immaginato da Monti con la manovra triennale”, anche perché, sottolinea, “in ballo c’è la sopravvivenza degli italiani”.
Italiani che potrebbero votarlo in parecchi, ma se davvero la legge elettorale sarà quella che da questa settimana si comincerà a discutere al Senato, in Parlamento non resterà molto spazio per forze politiche d’opposizione non ancora strutturate in un partito; la soglia di sbarramento potrebbe superare il 4%, proprio per impedire un’ulteriore frammentazione dell’elettorato.
Monti dopo Monti, insomma, anche per traghettare la politica oltre questa fase di delegittimazione e di repulsa dei cittadini, saturi di scandali e schienati dalle tasse. La politica si ripara sotto l’ombrello della credibilità montiana, interna e internazionale, in attesa di potersi ripresentare davanti agli elettori con qualche faccia meno compromessa e qualche idea migliore per il futuro del Paese. E siccome un po’ tutti hanno qualcosa da farsi perdonare, c’è da giurare che l’asse pro Monti, nei prossimi mesi, si strutturi ancora di più. Forse fino a farsi partito.
Politica
Fini, Casini e Montezemolo: grande coalizione per un Monti bis
Il partito del professore cresce a dismisura con il passare dei giorni anche se mancano sette mesi all’apertura delle urne politiche. Bersani e Alfano, però, frenano. Anche se all'interno di Pd e Pdl i favorevoli a una nuovo mandato di governo sono moltissime
Erano già arrivati i poteri forti, Confindustria, la Cei, la finanza internazionale. Poi Angela Merkel si era lasciata sfuggire un sincero “quanto lavora bene come premier”. E persino Marchionne, che certo negli ultimi tempi qualche problema con lui l’ha avuto, si era speso per considerare un bis di Mario Monti a palazzo Chigi come “un passo avanti per il Paese”. Alla fine, un endorsement prestigioso e inatteso, è arrivato da Luca Cordero di Montezemolo. Che, in buona sostanza, ha ammesso di rinunciare a candidarsi perché “Monti dopo Monti”, per dirla con Casini, è anche la sua opzione primaria.
Il partito di Monti, dunque, cresce a dismisura con il passare dei giorni anche se mancano sette mesi all’apertura delle urne politiche (si voterà il 7 e l’8 aprile 2013). Si sa, però, che al Senato si sta costruendo una legge elettorale che favorirà una grande coalizione capace di sostenere un governo più politico di quello attuale, ma di certo – a questo punto – ancora a guida Monti. Gianfranco Fini è stato chiaro: “Bisogna evitare che questo governo sia una parentesi”, subito seguito a ruota da Casini, primo e vero sponsor del secondo round del professore: “Se qualcuno pensa che Monti sia un incidente è fuori di senno”. Uniche voci fuori dal coro, quella del segretario pidiellino Alfano, che comunque senza troppa convinzione ha buttato lì che “se Monti vuole restare a palazzo Chigi deve candidarsi” mentre il no più netto è arrivato da Bersani: “Basta scorciatoie, la politica deve riprendersi il suo ruolo” e “tornare ad essere credibile”.
L’analisi è semplice: il segretario del Pd, unico partito che può vincere le prossime politiche (almeno a star dietro ai sondaggi e se le primarie non spaccheranno la base definitivamente in due) non ne vuole sapere di fare eventualmente un passo a lato per lasciare comunque la poltrona più alta del governo al professor Monti. Ma quella del Pd (anche Renzi, su questo fronte, viaggia sulla stessa lunghezza d’onda del segretario del Nazareno) è una posizione che rischia di isolarsi sempre più tra le forze politiche che comporranno la prossima maggioranza. Tutti gli altri, infatti, stanno giocando una partita diversa da quella di Bersani. E Casini lo ha intuito prima degli altri che c’è bisogno di un periodo di tempo piuttosto lungo di decantazione prima che davvero la politica possa fare quello che dice Bersani, ovvero tornare a essere credibile.
Siamo, insomma, in una fase che ricorda un po’ il ’92 anche se con caratteristiche molto diverse. La corruzione dilaga, ma è la crisi economica e la congiuntura internazionale dell’Europa a rendere più difficile (e più fragile) quel ricambio che l’inchiesta Mani Pulite, ormai vent’anni fa, mise in moto. Purtroppo con le conseguenze che poi si sono conosciute (Berlusconi al potere appunto per vent’anni). Ora, insomma, è diverso. Ma chiedendo a Monti di proseguire nell’opera di tenuta e di riforme avviata dal governo, non è vero che le forze politiche finiranno per delegittimare ulteriormente il loro ruolo. Casini, Fini, i “poteri forti” e la finanza che guarda ai mercati internazionali, hanno chiaro il quadro d’insieme; Monti rappresenta l’unico “ponte” per superare questa fase senza incorrere nel pericolo di dare spazio a derive populiste, come teme Napolitano, o – peggio – ad una sostanziale ingovernabilità che non farebbe altro che screditare ulteriormente l’Italia sui mercati mondiali. La crisi durerà almeno altri due anni. E i partiti hanno bisogno di almeno altri tre anni per depurarsi e rigenerarsi con uomini e donne nuovi, con idee e proposte che non leghino la politica alla gestione dell’emergenza, ma alla programmazione del futuro. Questa politica, insomma, non ha uomini, credibilità, mezzi e forza per proporsi alla guida di un Paese innegabilmente sfiduciato. E dove l’astensionismo, non a caso, sfiora oggi il 51% dell’elettorato. Il dato è, per altro, in crescita.
Ecco perché un appoggio così largo al Monti bis. Che – si badi bene – non è vissuto nello stesso modo anche dentro i partiti che compongono la maggioranza. Nel Pd, in barba a Bersani, c’è tutta l’ala cattolica che fa il tifo per Monti : “Colgo in modo positivo l’apertura del premier a un Monti bis”, ha detto l’altro giorno Beppe Fioroni capofila di una squadra di “montiani” interna ai “dem” che conta, tra gli altri, Giorgio Tonini, Enrico Morando, Marco Follini, Paolo Gentiloni, Pietro Ichino, Salvatore Vassallo e Umberto Ranieri, interessati su questo tema al dialogo con quelli che sono anche gli interlocutori del leader centrista Casini. E cioè Carlo Calenda e Andrea Romano (Italia Futura di Montezemolo), Benedetto Della Vedova (Fli), il cattolico Lorenzo Dellai e l’ex rutelliana Linda Lanzillotta.
Sostiene Stefano Ceccanti, costituzionalista e senatore del Pd: “Questo problema della disponibilità di Monti non sarebbe emerso se Bersani si fosse mosso in una linea di coerente sviluppo di continuità con Monti”. Anche nel Pdl, comunque, le anime sono agitate. Se Berlusconi tentenna, facendo esporre Alfano verso la necessità di una candidatura politica per Monti, si deve comunque registrare un’apertura del duo Frattini-Gelmini al bis del professore e una porta spalancata da parte di una ex berlusconiana di ferro come Isabella Bertolini.
Il fronte pro Monti, dunque, scorre come un fiume carsico anche dentro quei partiti maggiori la cui posizione ufficiale è però il no al bis del professore. E se Di Pietro e Grillo dell’ipotesi non vogliono neppure sentir parlare, così come Niki Vendola e la sinistra estrema dei Ferrero e dei Diliberto, si deve registrare anche la posizione (da sempre) nettamente contraria di Oscar Giannino e del suo nuovo movimento “Fermare il declino”. Una vita trascorsa sotto le bandiere liberiste, Giannino non ha mai nascosto la sua contrarietà alla politica economica di Monti: “Sono molto deluso dal governo e da Monti – ha commentato qualche tempo fa parlando delle dismissioni che il governo aveva in ponte di fare a breve – che pure nel mio piccolo ho contribuito a legittimare di fronte a centinaia di migliaia di ascoltatori, prima della sua nascita e ai suoi primi atti”. La principale colpa di Monti & Co, secondo Giannino, è quella di non aver toccato “la montagna stregata della pubblica amministrazione; che pena questi tecnici che presentano come gran cosa tagliare 4 miliardi su 700 di spesa pubblica, cioè lo 0,5%, quando migliaia di imprese tagliano il 30% di costi in un anno”. Quindi è tornato alla carica: “Abbattere il debito con le cessioni pubbliche, ma nel frattempo tagliare anche la spesa per un equilibrio di entrate a un livello ben più basso di quello immaginato da Monti con la manovra triennale”, anche perché, sottolinea, “in ballo c’è la sopravvivenza degli italiani”.
Italiani che potrebbero votarlo in parecchi, ma se davvero la legge elettorale sarà quella che da questa settimana si comincerà a discutere al Senato, in Parlamento non resterà molto spazio per forze politiche d’opposizione non ancora strutturate in un partito; la soglia di sbarramento potrebbe superare il 4%, proprio per impedire un’ulteriore frammentazione dell’elettorato.
Monti dopo Monti, insomma, anche per traghettare la politica oltre questa fase di delegittimazione e di repulsa dei cittadini, saturi di scandali e schienati dalle tasse. La politica si ripara sotto l’ombrello della credibilità montiana, interna e internazionale, in attesa di potersi ripresentare davanti agli elettori con qualche faccia meno compromessa e qualche idea migliore per il futuro del Paese. E siccome un po’ tutti hanno qualcosa da farsi perdonare, c’è da giurare che l’asse pro Monti, nei prossimi mesi, si strutturi ancora di più. Forse fino a farsi partito.
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Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo quanto riferito su X dal giornalista del The Economist, Shashank Joshi, l'amministrazione Trump starebbe valutando la possibilità di riconoscere la Crimea ucraina come parte del territorio russo, nell'ambito di un possibile accordo per porre fine alla guerra tra Russia e Ucraina.
"Secondo due persone a conoscenza della questione, l'amministrazione Trump sta valutando di riconoscere la regione ucraina della Crimea come territorio russo come parte di un eventuale accordo futuro per porre fine alla guerra di Mosca contro Kiev", si legge nel post del giornalista.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Secondo un sondaggio della televisione israeliana Channel 12, il 46% degli israeliani non è favorevole al licenziamento del capo dello Shin Bet, Ronen Bar, da parte del primo ministro Benjamin Netanyahu, rispetto al 31% che sostiene la sua rimozione. Il risultato contrasta con il 64% che, in un sondaggio di due settimane fa, sosteneva che Bar avrebbe dovuto dimettersi, e con il 18% che sosteneva il contrario.
Tel Aviv, 17 mar. (Adnkronos) - Il ministero della Salute libanese ha dichiarato che almeno sette persone sono state uccise e 52 ferite negli scontri scoppiati la scorsa notte al confine con la Siria. "Gli sviluppi degli ultimi due giorni al confine tra Libano e Siria hanno portato alla morte di sette cittadini e al ferimento di altri 52", ha affermato l'unità di emergenza del ministero della Salute.