Secondo la sentenza della Suprema Corte in caso di pratiche sessuali "estreme" il consenso dato dal partner non ha durata illimitata e valida una volta per tutte. “Ripensamenti” possono avvenire in qualunque momento: se il partner insiste allora è reato
Per le pratiche sessuali “estreme” il consenso dato dal partner, all’inizio della relazione, a vivere il rapporto erotico sentimentale in base al canone vittima-carnefice, non ha durata illimitata e valida una volta per tutte. “Ripensamenti” possono avvenire in qualunque momento e, in tale caso, il sesso “particolare” deve essere subito interrotto. Lo sottolinea la Cassazione affrontando una vicenda che quasi richiama il bestseller Cinquanta sfumature di grigio.
I giudici supremi avvertono che nel caso in cui il partner, nonostante il dissenso dell’altro, continui nelle modalità non gradite, allora si configura lo stupro. Ipotesi che sussiste anche se la vittima, dopo aver subìto, accetta poi liberamente altri rapporti con il carnefice.
Il caso affrontato è quello di Francesco B., un muratore marchigiano di 33 anni che, al mare, incontra una ragazza ventinovenne con la quale intrattiene una relazione da maggio ad agosto del 2009. Da subito la liason è caratterizzata da modalità spinte condivise dalla donna che accetta anche di essere filmata. La storia prosegue e alterna momenti di comune accordo a altri nei quali l’uomo prevarica, mentre la ragazza gli chiede, invano, di smettere. Per lei, “succube”, tutto scorre come un film nel quale – scrive la Cassazione nel confermare la condanna a tre anni e sei mesi di reclusione per il violentatore – “non riusciva con certezza a rievocare i singoli episodi di violenza subiti”, separandoli dai “rapporti volontari”. Ma queste imprecisioni sono l’effetto della alternanza delle fasi consenso-dissenso e non hanno minato la verità della denuncia.
L’instaurazione di una relazione “incube-succube”, poi diventata “vittima-carnefice” rende “coerente” – scrive la Cassazione, sentenza 37916 – “l’aver ritenuto che ben potessero coesistere incontri sessuali consensuali, con altri nei quali, proprio per la mancanza di consenso della donna, intervenissero comportamenti violenti e minacce da parte dell’uomo”.
“Purtroppo – afferma la Cassazione – è ben possibile che, nello svolgimento della patologia delle relazioni sentimentali tra uomo e donna, si verifichi la sussistenza di rapporti sessuali consensuali alternati a rapporti imposti e non può certo presumersi il consenso anche in riferimento ai rapporti imposti con la violenza e minaccia”. In relazione a “certe pratiche estreme – conclude l’Alta corte – non basta il consenso espresso nel momento iniziale”. L’atto diventa lesivo se il partner manifesta “di non essere più consenziente al protrarsi dell’azione alla quale aveva inizialmente aderito, per un ripensamento o una non condivisione sulle modalità di consumazione dell’amplesso”.