Ci sono donne che, pur sognando qualcosa di diverso, per vari motivi non hanno trovato la forza di liberarsi dalla gabbia di stereotipi che frenano il percorso di emancipazione. Altre invece hanno avuto il coraggio di reagire, di ribellarsi e di “scrivere” la propria storia. La giornalista Luisella Costamagna le ha raccontate nel libro Noi che costruiamo gli uomini, edito da Mondatori. Dieci vicende di donne comuni che sono diventate artefici del proprio destino. “Sono partita da una ricerca Nielsen in cui viene evidenziato che le donne italiane parlano di loro stesse ‘autoghettizandosi’ – racconta la giornalista – molte affermano che sia giusto che l’uomo guadagni di più, che la politica la facciano gli uomini, che le donne si occupino dei bambini e della casa. Questo è un approccio sbagliato. Io ho scelto di andare in controtendenza e di raccontare storie che dimostrassero il contrario”.
La Costamagna ha provato a smentire le statistiche narrando la vicenda di Bruna, che ha lasciato un marito manesco e insieme ai suoi figli si è rifatta una vita, diventando in seguito responsabile di un centro antiviolenza. Poi quella di Patrizia, ex tossicodipendente ed ex detenuta che, dopo essere uscita dalla droga, è diventata giornalista e ha cominciato a lavorare per l’ufficio stampa di un importante comune toscano. Ma anche storie più ordinarie, come quella di una donna diventata notaio a 25 anni, che nel frattempo ha avuto quattro figli e ha sposato un uomo che le sta vicino nel suo percorso lavorativo e di vita. “La donna deve credere in se stessa, avere autostima. Oggi la chiave della sua riuscita è la consapevolezza della propria forza. Deve fare ciò che le somiglia di più, senza i condizionamenti culturali di una società patriarcale. Fare la casalinga deve essere una scelta personale e non indotta”. Tra le problematiche odierne legate all’autodeterminazione della donna, quella delle pari opportunità è una questione centrale, soprattutto nel mondo del lavoro. Oggi, per esempio, la maternità rappresenta un evento penalizzante, quasi una colpa che, almeno nel nostro paese, viene espiata con l’esclusione da progetti o da carriere importanti, se si è già dipendenti di un’azienda, oppure con l’impossibilità di essere selezionati per un posto.
“Ciò che mi ha colpito dell’indagine Nielsen – ha continuato la Costamagna – è che le percentuali di donne italiane che pensano che si debba stare a casa siano superiori a quelle della Spagna, un paese cattolico e tradizionalista, culturalmente molto simile al nostro. Ecco perché credo che dietro l’autoesclusione di un certo numero di donne italiane si nascondano altre ragioni: soprattutto la mancanza di sostegni sociali e di strutture tipo asili nido aziendali, che permetterebbero di conciliare lavoro e famiglia. Nel libro racconto la storia dell’imprenditrice Alessandra che ha inventato un’azienda a misura di donna, in cui c’è il telelavoro e le riunioni vengono fatte attraverso skype. Bisognerebbe comprendere che, grazie a un nuovo tipo di comunicazione, oggi si possono conciliare i tempi del lavoro con quelli della maternità”. All’estero hanno già capito che una donna con figli può essere una grande risorsa. Lo dimostra la nomina a luglio di Marissa Mayer, in quel periodo al sesto mese di gravidanza, alla guida di Yahoo. “Loro hanno compreso che una donna incinta o che ha appena partorito possiede una creatività, una voglia di mettersi in gioco, una capacità organizzativa e pragmatica straordinaria. All’estero chi ha fatto figli è considerata un’ottima amministratrice. Invece da noi, se sei incinta, non ti assume nessuno perché la maternità viene vista come un limite e un condizionamento”. Le chiediamo se pensa che la recente legge, che prevede l’introduzione delle ‘quote rosa’ negli organi di amministrazione e di controllo delle società pubbliche italiane, sia un passo avanti nella garanzia delle pari opportunità. “Per me una donna deve riuscire a fare strada non in quanto donna, ma perché brava e capace. Non mi piace il principio della quota rosa, cioè di imporre un cambiamento per legge. Però penso che la politica debba rappresentare un’avanguardia quando un paese è indietro culturalmente. E quindi se le quote rosa sono un modo per far capire che in ruoli chiave dell’amministrazione pubblica ci devono essere lo stesso numero di uomini e di donne, ben vengano”.