Affrontiamo oggi il tema del presunto legame, spesso citato dagli attivisti di alcune Organizzazioni Non Governative (ONG), tra i suicidi dei contadini indiani e l’introduzione del cotone Ogm. Ricordo brevemente che nella letteratura scientifica ormai è un dato assodato che l’introduzione, nel 2002, del cotone Bt in India ha portato in media ad aumentare le rese, ad aumentare la produzione nazionale, a diminuire l’uso di pesticidi con benefici per l’ambiente e la salute degli agricoltori e, cosa importante, ad aumentare il reddito medio dei contadini. Ora il cotone Bt costituisce circa il 90% del cotone indiano. Potete trovare i riferimenti bibliografici ad articoli scientifici nei pezzi precedenti. Sui giornali o sul web invece solitamente leggiamo tutto il contrario, in articoli dove quasi sempre il giornalista ha accettato acriticamente, senza controllare le fonti o metterle in dubbio, la versione di organizzazioni come Greenpeace o di attivisti come Vandana Shiva. Neanche si pongono il problema di risolvere le contraddizioni: se il cotone funziona e porta benefici economici perché dovrebbero suicidarsi? E se non funziona come mai lo coltivano nel 90% dei casi, molti milioni di piccoli agricoltori? I suicidi purtroppo sono una tragica realtà solo che, come vedremo, non c’è una relazione con l’introduzione del cotone OGM.
Grandi numeri
Avete letto, anche su Il Fatto, di 250.000 contadini indiani che si sono tolti la vita negli ultimi 15 anni. Un quarto di milione. Un numero troppo grande da riuscire ad afferrare. L’india è un paese enorme con i suoi 1.210.000.000 abitanti. Un miliardo e duecentodieci milioni. Venti volte l’Italia. In un paese così grande facciamo fatica a dare il giusto significato alle cifre. Nel 2010 si sono suicidati 15.964 agricoltori indiani. Giusto per confronto nel solo 2010 si sono suicidate 134.000 persone in totale in India. Nel 2010 sono morte 2600 persone colpite dai fulmini, 28.000 persone sono annegate e ben 161.736 sono morti per incidenti automobilistici e ferroviari. Tutto in un solo anno. Se ora moltiplicate questi numeri per 15 anni abbiamo delle cifre a cui facciamo fatica a dare significato, a comprendere e metabolizzare.
L’enormità della tragedia dei suicidi dei contadini non deve far dimenticare che problemi complessi non hanno mai risposte semplici. Per molti la faccenda è chiara: i contadini si suicidano per colpa del cotone OGM, che ha fallito (cosa non vera come abbiamo visto la scorsa volta). L’attivista indiana Vandana Shiva da tempo sostiene questo. E usa questo macigno, questo ricatto emotivo, per sostenere la sua lotta contro gli OGM in generale e contro le multinazionali. Questa posizione è molto diffusa.
Curiosa però questa cosa: queste persone sono le prime, e giustamente, a ricordare che un problema complesso come la fame o la povertà non si può certo risolvere con la bacchetta magica solo con una soluzione tecnologica, con un gene. È da sciocchi pensare che un gene inserito qua o là, una singola ricetta, possa risolvere la fame nel mondo. È irrealistico pensare che una singola ricetta, di qualsiasi tipo, possa estirpare totalmente un problema sociale. Però può aiutare e quindi è illogico e disonesto usare questo tipo di argomentazioni per essere contro le singole prescrizioni.
Queste stesse persone però non hanno dubbi nell’ascrivere un fenomeno complesso come i suicidi ad una singola causa tecnologica, un singolo gene. Curioso. A quanto pare l’ipersemplificazione attrae sia chi pensa di risolvere tutti i problemi con un solo gene inserito che quelli che danno la colpa di tutti i problemi ad un solo gene inserito.
C’è spesso la tendenza a semplificare, a isolare un singolo fattore, una modifica genetica in questo caso, e ad attribuirgli tutte le colpe. O tutti i miracoli. Queste spiegazioni non solo sono inadeguate ma anche perniciose.
250.000 suicidi
Come si arriva al dato dei 250.000 suicidi? Notate prima di tutto che raramente i giornalisti hanno chiesto: “Signora Shiva, da dove arriva questo numero? Che cosa comprende?” Lo scarso controllo delle fonti e dei documenti originali è uno dei motivi per cui trovo il giornalismo in Italia mediamente scadente. Un giornalismo dove troppo spesso le opinioni e le parrocchie di appartenenza sono più importanti dei fatti.
I dati dei suicidi si possono prendere dal National Crime Record Bureau indiano (NCRB), che ogni anno pubblica il rapporto “Accidental Deaths and Suicides in India Report” [1]. Come tutte le statistiche, anche quella del NCRB non è perfetta. Forse è sovrastimata, forse sottostimata, non lo sappiamo. Fatto sta che è quella che usano i sostenitori della tesi che la causa dei suicidi siano i semi OGM, perché il numero 250.000 salta fuori da lì, sommando i dati dal 1995 (primo anno per cui vi sono statistiche divise in base alla professione) al 2010. Più precisamente sono 256.913.
Quindi 250.000 rappresenta il numero totale di agricoltori che si sono tolti la vita. L’NCRB non tiene conto di cosa coltivassero quegli agricoltori e come mai si siano suicidati. Le statistiche non ci dicono quanti di questi coltivavano cotone, e tra questi quanti il cotone Bt, e tra questi quanti si sono suicidati per debiti, e tra questi quanti si sono suicidati per debiti causati dal raccolto andato a male e non invece per pagare il matrimonio alla figlia ad esempio, un problema ancora molto sentito nell’India rurale, oppure per altri motivi. Ecco quindi la prima bugia degli attivisti: attribuire ogni tipo di suicidio di ogni tipo di agricoltore ad una singola causa: il cotone Bt, in modo da gonfiare il numero e impressionare di più.
I lettori più attenti avranno già cominciato a sentire puzza di bruciato: si sommano i suicidi a partire dal 1995. Però il cotone Bt in India è stato introdotto nel 2002, ben sette anni dopo, e per i primi anni è stato coltivato solo da una piccola percentuale di agricoltori. Che senso ha quindi attribuire al cotone Bt i suicidi di anni precedenti alla sua introduzione? Nessuno! Ecco quindi la seconda bugia ampiamente sfruttata da attivisti e riportata dai giornalisti. Qualcuno alle strette ammette che sì, è vero, i suicidi c’erano anche prima, ma con il cotone Bt si sono aggravati, tanto è vero che, come abbiamo letto sul Fattoquotidiano
“Circa 135.756 agricoltori si sono tolti la vita nel periodo 2003-2010 mentre il totale precedente era di 121.157. Circa 14.599 agricoltori in più in 8 anni a fronte di una diminuzione significativa degli addetti al settore”
Come si dice, la toppa è peggiore del buco. Prima di tutto è verissimo che negli ultimi anni il numero di agricoltori in India è diminuito, quindi se i suicidi aumentano vuol dire che il cotone Bt aggrava la situazione. Peccato che l’area destinata a cotone e quindi il numero di piccoli contadini che coltivano cotone sia aumentato e non diminuito, così come quelli che coltivano cotone Bt, che evidentemente non leggono Vandana Shiva ma ragionano con il loro portafogli, come è giusto che sia. In altre parole i contadini sono attratti dalla coltivazione del cotone. Nel 2002 erano 5 milioni i coltivatori di cotone e meno dell’uno per cento coltivava OGM. Nel 2006 erano ancora 5 milioni, ma la percentuale di coloro che coltivavano cotone Btera aumentata al 46%. Da allora i coltivatori di cotone sono aumentati: 6.300.000 nel 2008 fino a 8 milioni nel 2011 (dati del Ministero dell’Agricoltura Indiano).
Ma la disinformazione degli attivisti è palese se tracciamo un grafico riportando contemporaneamente il numero di suicidi e la percentuale di cotone Bt (ahh, la potenza dei numeri…)
Basta un’occhiata per osservare come:
1) la rapida crescita dei suicidi è precedente all’introduzione del cotone Bt.
2) I suicidi raggiungono l’apice in un momento in cui la coltivazione di cotone Bt era ancora al 5% del totale
3) Vi è un trend di diminuzione dei suicidi negli anni successivi, contemporaneo all’aumento delle superfici coltivate a cotone Bt, e all’aumento delle supercifi a cotone in generale.
È noto che una correlazione non implica una relazione di causa-effetto (quanti ragionamenti sballati si sentono basati su questo errore!), ma in questo caso non esiste neanche una correlazione: non c’è proprio evidenza alcuna che i due fenomeni siano correlati. Di che cosa stiamo parlando allora?
Visto il calo degli ultimi anni si potrebbe addirittura dire che il cotone Bt abbia fatto diminuire il numero di suicidi? Se affermassi questo prendendo semplicemente questo grafico come “prova” sarei tanto disonesto (o ignorante) quanto chi sostiene un legame con i suicidi. Serve molto più che un grafico per dimostrare dei rapporti di causa ed effetto. Cominciamo invece ora ad analizzare i primi studi che sono stati effettuati sul fenomeno dei suicidi.
Sulle riviste specializzate sono cominciati ad apparire degli articoli di analisi economica, sociale e di politica agraria sin dagli inizi del 1998, cercando di analizzare gli svariati motivi che potevano portare al suicidio gli agricoltori.
Nel marzo 1998 appare il primo articolo sulla rivista Economic and Political Weekly che analizza i suicidi di coltivatori di cotone in Andra Pradesh “Suicides of cotton farmers in Andhra pradesh. An exploratory study” [2]. L’autore esamina molte possibili concause dei suicidi tra cui le scarse piogge, instabilità dei prezzi di mercato, aumento dei costi, l’uso indiscriminato di pesticidi, indebitamento con strozzini e altre.
Riguardo ai pesticidi scrive:
“I coltivatori di cotone hanno usato 10-12 tipi di pesticidi da 15 a 25 volte senza alcun motivo. A causa di ciò il costo della coltivazione è aumentato fino ad una volta e mezza. Ci sono 93 produttori di pesticidi nello Stato e 13540 rivendite autorizzate. Vi sono molte lamentele per l’adulterazione dei pesticidi. Pochissimi agricoltori sono stati in grado di ottenere prestiti dalle banche. La maggior parte di loro accende prestiti presso i venditori di pesticidi ad un tasso di interesse del 3-5 per cento al mese”
E per i semi
“Vi sono sul mercato 60 varietà di semi. La maggior parte degli agricoltori non sa quale di queste è adatta al proprio terreno e alle condizioni atmosferiche. I commercianti vendono ai contadini semi di bassa qualità o adulterati riempiendo sacchi con belle etichette.”
Questo anche per ricordare che anche in India, da tempo, quasi sempre i semi del cotone si ricomprano ogni anno, nonostante la retorica corrente dei “contadini che si fanno i semi da soli”, credenza molto diffusa tra chi solitamente al massimo tiene una piantina di basilico sul balcone dell’appartamento in centro cittá.
Il mese successivo, sempre su Economic and Political Weekly, è la volta dello stato del Karnataka: “Farmers’ Suicides. Signs of distress in Rural Economy” [3]. Questa volta sono coltivatori di pomodori, peperoncini e piselli a suicidarsi. L’articolo “Farmers’ suicide: missing issues” [4] del maggio 1998 aggiunge altri due dettagli: la mancanza di una adeguata irrigazione in molte parti dell’India e la riduzione del credito da parte di soggetti pubblici.
In “Agrarian distress in Bidar. Market, State and Suicides” [5] del 1999 l’autore riferisce, parlando dei suicidi, di perdite di raccolti di piselli, di sorgo, di girasole e altre colture. Nel 2000 “Seed tribunal: interrogating farmers’ suicides” [6] legge in chiave antiglobalizzazione il problema dei suicidi. Nel 2002 un articolo dal titolo “Suicide by Farmers in Karnataka” [7] pone l’accento sul problema dell’irrigazione inesistente in molte parti dello stato e traccia un profilo socioeconomico delle vittime.
Ci soffermiamo ora su un articolo del 1999 intitolato “Globalisation and Threat to seed security” [8]. Come altri, fa notare che il problema non è unico ai coltivatori di cotone:
“La tragedia degli agricoltori che da un paio di anni in alcuni stati commettono suicidio mette in evidenza alcuni di quei costi ecologici e sociali, collegati alla globalizzazione, di un’agricoltura non sostenibile, e che non si limitano alla superfici coltivate a cotone dei diversi stati ma sono stati sperimentati in tutte le regioni dove si coltivano a scopo commerciale colture con un ausilio chimico.”
Gli autori dell’articolo identificano, a parer loro, le cause dei suicidi
“La privatizzazione del settore delle sementi ha indotto tre importanti cambiamenti in agricoltura.
In primo luogo, gli agricoltori hanno cambiato la scelta delle varietà da coltivare, da una coltivazione mista basata su input interni alla monocultura di ibridi con input esterni [fertilizzanti, semi, pesticidi etc.].
In secondo luogo, ha cambiato la cultura dell’agricoltura. Invece di coltivare cibo e massimizzare la sicurezza alimentare ed ecologica, gli agricoltori sono stati indotti a coltivare colture commerciali [cash crops] per realizzare alti profitti, senza una valutazione dei rischi, dei costi e delle vulnerabilità.
In terzo luogo, il passaggio da un sistema pubblico ad un sistema privato in agricoltura.”
Ovviamente tra le cause identificate non ci sono gli Ogm. E come potrebbero? Sarebbero stati introdotti solo tre anni più tardi. Uno dei problemi, che analizzeremo meglio in un prossimo articolo, è la presenza sul mercato sia di pesticidi che di semi “spuri”, cioè non certificati, prodotti localmente da Nath seeds, Aurangabad, Ajith Seeds, Jalana, Sanjay Seeds e altri, e che non promettono quello che mantengono. Notano sempre gli autori
“Gli agricoltori temono che il fallimento delle colture sia dovuto alla fornitura di sementi spurie da varie aziende sementiere private.
[…]
Si è registrato un grande aumento delle aziende sementiere private che operano in queste regioni. Queste aziende produttrici di sementi non sono sincere nel soddisfare le esigenze degli agricoltori. Esse sono orientate al profitto e utilizzano metodi pubblicitari avanzati per vendere nuove varietà di sementi ad agricoltori male informati.”
Le sementi ibride del cotone, che ovviamente andrebbero ricomprate ogni anno, sono una invenzione della ricerca pubblica indiana introdotte nel 1970. Agli inizi degli anni ’90, prima dell’ondata di suicidi, ormai quasi tutti i coltivatori di cotone usavano semi ibridi, più produttivi.
“I semi ibridi offrono una promessa di rendimenti più elevati, ma hanno anche maggiori rischi di fallimento del raccolto poiché sono più inclini ad attacchi dei parassiti e malattie, come illustrato dalla esperienza in Andhra Pradesh.
[…]
L’indebitamento e la perdita dei raccolti sono le principali ragioni dei suicidi degli agricoltori.
[…]
Il fallimento del cotone è stato l’uso eccessivo di pesticidi o l’uso di pesticidi spuri.”
Come abbiamo già ricordato in altri articoli, il cotone convenzionale fa un enorme uso di pesticidi. Se il fallimento è dovuto ad un uso eccessivo di pesticidi, quale miglior notizia per gli agricoltori se non quella della promessa di un cotone che ne ha bisogno di meno? È intuibile il perché negli anni successivi sempre più agricoltori abbiano deciso di coltivare il cotone Bt.
“Più di 300 produttori di cotone si sono suicidati in Andhra Pradesh nel 1997-98. La coltivazione del cotone si è estesa a zone che non erano tradizionalmente coltivate a cotone. Una di queste regioni è il distretto di Warangal, convertito da colture alimentari al cotone, una coltura relativamente nuova introdotta dalla liberalizzazione degli scambi. La superficie di cotone in questa regione è più che triplicata in un decennio. L’aumento della superficie di cotone è dovuta ai buoni rendimenti che gli agricoltori hanno avuto dal cotone.
[…]
Tuttavia, il cotone ha fallito a causa di un grave attacco di parassiti. Le applicazioni frequenti e la dubbia qualità dei pesticidi utilizzati li ha resi ancora più inefficaci. La maggior parte degli agricoltori ha speso tra le 12.000 e le 15.000 rupie per acro in pesticidi. Il pesante investimento fatto per l’acquisto di prodotti agrochimici non poté essere recuperato, perché la resa è stata molto al di sotto del livello previsto, insufficiente per coprire i costi. I piccoli agricoltori che avevano contratto dei prestiti si sono indebitati e poi condotti al suicidio.”
Chi scriveva queste cose nel 1999? Vandana Shiva! In quegli anni, prima dell’introduzione del cotone Bt, che sarebbe avvenuto solo tre anni più tardi, la Shiva sapeva bene che il problema dei suicidi prima di tutto non era legato solo al cotone, e poi era un sintomo di un disagio economico e sociale che colpiva la parte più debole (piccola certo, ma non bisogna dimenticarsi dei più deboli) della comunità degli agricoltori. Vandana Shiva sa benissimo che la modifica genetica del cotone non c’entra nulla con i suicidi. E capiva anche benissimo che l’arrivo del cotone Bt sarebbe stato visto da molti agricoltori come una alternativa promettente. Per “scongiurare” questa eventualitá Shiva e collaboratori dedicano la seconda parte dell’articolo ad argomentare perché secondo loro l’arrivo del cotone Bt avrebbe peggiorato le cose, lanciando la battaglia per impedirne l’introduzione in India del cotone Ogm Battaglia poi persa su tutti i fronti, visto che milioni di contadini hanno “votato” per la sua introduzione prima contrabbandando il cotone Ogm pubblico cinese e poi acquistando quello venduto in India, sia da Monsanto che dalle molte aziende locali. Gli attivisti a questo punto hanno pensato ad una nuova strategia: attribuire la colpa dei suicidi agli Ogm e sostenere che il cotone Bt sia stato un fallimento generalizzato. Non è vero, come abbiamo dimostrato, ma tanto i giornalisti mica controllano le fonti e non leggono i vecchi articoli. Nemmeno quelli della Shiva. E così è stato: innumerevoli giornalisti in tutto il mondo si limitano a ridiffondere ogni “rapporto” e comunicato stampa senza uno straccio di analisi critica.
Le analisi (serie) sulle riviste specializzate invece si sono succedute anche in anni successivi all’introduzione del cotone Bt. Nel 2004 l’articolo “Farmer’s Suicides in Maharashtra” [9] pone l’accento anche su altre possibili cause sociali di alcuni dei suicidi, come problemi di alcolismo o debiti di gioco, senza accenno al cotone Bt.
Nel 2006 V. Sridhar scrive “Why do farmers commit suicide? The case of Andhra Pradesh” [10], mettendo in evidenza come l’indebitamento di molti agricoltori sia solo un sintomo di un malessere più generale, le cui cause vanno, secondo l’autore, fatte risalire al declino del ruolo pubblico nel credito, con sempre più prestatori di denaro privati (spesso direttamente i venditori di pesticidi) e all’impatto delle politiche di liberalizzazione richieste dal WTO che hanno portato benessere in molti strati della popolazione indiana ma hanno anche peggiorato la situazione delle fasce più deboli senza alcun paracadute. I fallimenti dei raccolti ci sono sempre stati, e sempre ci saranno perché coltivare è una attività rischiosa. Quello che viene a mancare ora è una rete di protezione. Nessun accenno al cotone Ogm, a quattro anni dalla sua introduzione.
Sempre nel 2006 Srijit Mishra in un articolo dal titolo: “Farmers’ suicides in Maharashtra” [11] cita come uno dei problemi sia la volatilità dei prezzi dei mercati globali, a cui ora i contadini indiani sono esposti, senza una rete di salvataggio adeguata offerta dallo stato. Nessun accenno al cotone Bt che nel 2006 era coltivato ormai dal 46% degli agricoltori cotonieri.
Iniziano anche ad apparire delle analisi delle performance del cotone Bt, con risultati molto negativi se i dati arrivano dagli attivisti e molto positivi se arrivano dall’industria. Gli studi provenienti dalle universitá quasi sempre concordano su un effetto positivo, anche se non cosí elevato rispetto a quanto affermato dall’industria. Ma lo vedremo in un altro articolo.
Come avete visto serve tempo e voglia per andare a spulciare le pubblicazioni serie, atte a smentire le leggende raccontate dagli attivisti e subito propagate dai “giornalisti zerbino” (in questi giorni ne abbiamo un esempio, dove giornalisti hanno addirittura firmato un accordo impegnandosi a NON chiedere un parere indipendente ad altri scienziati, cosa che avrebbe ovviamente molto attenuato l’impatto mediatico cercato dall’autore dell’articolo e dai suoi finanziatori Auchan e Carrefour, in prima linea in Francia nel vendere prodotti Ogm-free e biologici a prezzi maggiorati ai consumatori spaventati). Non c’è articolo che io scriva su questi temi dove non arrivi qualcuno nei commenti che cita per l’ennesima volta la leggenda dei semi sterili che, come quella dei suicidi, continuerà inesorabilmente ad essere diffusa via web.
Ci sono ancora molte cose da raccontare sul cotone, sempre per quei quattro gatti a cui interessa. Per ora ho giá messo molta carne al fuoco della discussione. Ribadisco che l’unico scopo di questi articoli sul cotone Bt è mostrare come la modifica genetica effettuata non abbia nulla a che fare con il problema dei suicidi. Faccio questo perché invece si prende spunto da questi episodi per gettare discredito sulla tecnologia in generale. Le cose sono completamente indipendenti. Lo dico perché spesso nei commenti alcuni lettori non capiscono questo punto fondamentale e leggono i miei articoli come un “inno” alle multinazionali e stupidamente chi chiedono quanto paga Monsanto. Non mi interessa difendere Monsanto, o la coltivazione del cotone in generale o gli ibridi. Mi interessa solo far capire che qui la genetica non c’entra nulla e che è disonesto sfruttare il dramma di queste centinaia di migliaia di persone per portare avanti la propria battaglia (di retroguardia a questo punto).
I suicidi sono un problema reale dalle molteplici cause, ne parleremo ancora, ma la modifica genetica del cotone non è tra queste, per cui chi approfitta di questo dramma per portare avanti la propria agenda anti-OGM sta facendo una vera e propria opera di sciacallaggio, visto che, come gli sciacalli, approfitta dei cadaveri.
Dichiarazione di conflitto di interessi
Sono un ricercatore pubblico, non sono pagato da nessuna multinazionale e non mi occupo di biotecnologie nel mio settore di ricerca, per cui non ho alcun conflitto di interessi. Moltissima ricerca in questo campo, anche in Italia, è svolta da scienziati pubblici. Con questi articoli cerco di spiegare che la tecnica del trasferimento di geni che interessano da una specie all’altra non è “buona” o “cattiva”: è semplicemente uno strumento, ed è stupido privarsene. Ogni vegetale va considerato caso per caso, quindi è perfettamente inutile, oltre che sciocco, se parlando del cotone Bt qualcuno mette un link che riguarda la soia resistente agli erbicidi, come se c’entrasse qualche cosa e gli Ogm fossero una categoria a parte e uniforme.
Bibliografia
[1] “Accidental Deaths and Suicides in India Report” National Crime Record Bureau indiano
[2] G. Parthasarathy and Shameem, “Suicides of Cotton Farmers in Andhra Pradesh: An Exploratory Study,” Economic and Political Weekly, vol. 33, no. 13, pp. 720–726, Mar. 1998.
[3] M. Assadi, “Farmers’ Suicides: Signs of Distress in Rural Economy,” Economic and Political Weekly, vol. 33, no. 14, pp. 747–748, Apr. 1998.
[4] E. Revathi, “Farmers’ Suicide: Missing Issues,” Economic and Political Weekly, vol. 33, no. 20, pp. 1207, May 1998.
[5] A. R. Vasavi, “Agrarian Distress in Bidar: Market, State and Suicides,” Economic and Political Weekly, vol. 34, no. 32, pp. 2263–2268, Aug. 1999.
[6] M. Assadi, “Seed Tribunal: Interrogating Farmers’ Suicides,” Economic and Political Weekly, vol. 35, no. 43/44, pp. 3808–3810, Oct. 2000.
[7] R. S. Deshpande, “Suicide by Farmers in Karnataka: Agrarian Distress and Possible Alleviatory Steps,” Economic and Political Weekly, vol. 37, no. 26, pp. 2601–2610, Jun. 2002.
[8] V. Shiva, A. Emani, and A. H. Jafri, “Globalisation and Threat to Seed Security: Case of Transgenic Cotton Trials in India,” Economic and Political Weekly, vol. 34, no. 10/11, pp. 601–613, Mar. 1999.
[9] B. B. Mohanty and S. Shroff, “Farmers’ Suicides in Maharashtra,” Economic and Political Weekly, vol. 39, no. 52, pp. 5599–5606, Dec. 2004.
[10] V. Sridhar, “Why Do Farmers Commit Suicide? The Case of Andhra Pradesh,” Economic and Political Weekly, vol. 41, no. 16, pp. 1559–1565, Apr. 2006.
[11] S. Mishra, “Farmers’ Suicides in Maharashtra,” Economic and Political Weekly, Vol. 41, No. 16, pp. 1538-1545 Apr. 2006.
Leggi anche: Trilussa, il cotone Ogm e i suicidi di massa (parte I)