Nel processo per furto è stato il giorno della deposizione dell'ex aiutante del papa che ha detto di aver agito per aver temuto che Benedetto XVI "potesse essere manipolato". Poi ha raccontato delle presunte violazioni: aperta un'inchiesta
Aveva paura che Benedetto XVI fosse manipolato, ma precisa che non è stato il gesto isolato di un folle. Infatti ha aggiunto che non solo lui ha fornito nei mesi scorsi documenti riservati alla stampa. E ha anche denunciato presunte violazioni dei suoi diritti di detenuto: una cella troppo piccola e luce accesa tutto il giorno. E’ stato il giorno di Paolo Gabriele: l’ex maggiordomo del papa ha deposto oggi davanti al tribunale della Città del Vaticano nel processo che lo vede imputato di furto aggravato di carte riservate del pontefice. Dopo la decisione dei giudici di stralciare la posizione del tecnico informatico della Segreteria di Stato, Claudio Sciarpelletti, le luci della ribalta sono solo per lui: la seduta prevedeva infatti un unico interrogatorio, quello dell’imputato. Per gli 8 testimoni convocati, compreso il segretario del Papa, monsignor Georg Gaenswein, dovrebbe esserci tempo nelle due successive udienze che precederanno la sentenza, prevista dal presidente del Tibunale, Giuseppe Dalla Torre, entro sabato prossimo.
Ma c’è di più. C’è che Gabriele cita come confidenti anche alti prelati, compresi due cardinali “di peso”: Angelo Comastri e Paolo Sardi.
La denuncia di Gabriele: “Cella troppo piccola e luce accesa per 24 ore”
Ma c’è un altro colpo di scena. Gabriele ha infatti lamentato alcune gravi violazioni dei suoi diritti di detenuto. Dichiarazioni in base alle quale il Tribunale ha stabilito di aprire un fascicolo. L’ex maggiordomo difatti sarebbe stato trattenuto per diversi giorni, circa una ventina, in una cella dove non riusciva ad aprire le braccia tanto era stretta e in cui la luce è rimasta accesa 24 ore su 24, fatto che gli ha causato anche un abbassamento della vista.
“Tutte le celle del Vaticano anche le più piccole, rispecchiano gli standard internazionali” ha risposto più tardi il direttore della Sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Peraltro padre Lombardi ha ricordato che in cella Gabriele ha ricevuto diverse visite e appare strano che la questione emerga solo oggi. Lombardi ha anche ricordato che sono stati presi 39 provvedimenti a favore dell’imputato durante la sua detenzione. Le condizioni sono state “molto umane” ha precisato padre Lombardi. “Anche la cella più piccola in cui è stato inizialmente detenuto – ha spiegato – rispetta gli standard internazionali cui il Vaticano aderisce. Durante la sua detenzione sono stati presi 39 provvedimenti in favore di una sua buona condizione, gli è stata assicurata l’assistenza medica, spirituale, ha ricevuto le visite della famiglia e degli avvocati”. “Dire – ha aggiunto Lombardi – che ha ricevuto una condizione inumana quando invece c’è stata una attenzione, pone qualche interrogativo” che poi “vedranno i magistrati”. L’apertura del fascicolo, ha spiegato infatti, significa anche “vedere se non sono state fatte accuse non giuste nei confronti dell’autorità giudiziaria”. A questo si aggiunge il racconto della Gendarmeria Vaticana che ha precisato come le celle seguano gli standard di detenzione previsti anche per altri Paesi e che per quanto riguarda la luce “la stessa è rimasta accesa per evitare eventuali atti autolesionistici dell’imputato e per esigenze di sicurezza. Lo stesso detenuto, nei giorni a venire, ha chiesto che la medesima luce rimanesse accesa durante la notte perché la riteneva di compagnia. Allo stesso detenuto sin dall’inizio è stata fornita anche una mascherina notturna che gli consentisse il più completo oscuramento”.
Certo, niente a che vedere con le condizioni dei detenuti in decine di carceri italiane. Tuttavia secondo Patrizio Gonnella, presidente di Antigone (associazione che si batte per i diritti dei detenuti) “le dichiarazioni di Paolo Gabriele sulla sua condizione di detenzione sono sorprendenti. L’ impedimento del sonno causato dalla luce tenuta accesa 24 ore su 24 è considerato da tutti gli organismi internazionali una classica pratica di tortura, così come l’isolamento prolungato del detenuto”.
“Avevo paura che il papa potesse essere manipolato”
Ma cos’ha detto Gabriele sulle sue azioni in Vaticano? Nel tempo, ha detto durante la sua deposizione in aula, “ho maturato la convinzione che è facile manipolare la persona che ha un potere decisionale così enorme”. “A volte – ha aggiunto -, quando sedevamo a tavola, il Papa faceva domande su cose di cui doveva essere informato”.
Tuttavia l’ex aiutante del papa dice di non essere stato il solo a dare informazioni ai giornali: “Non sono stato solo io nel corso di questi anni a fornire documenti alla stampa”. Ma assicura di non aver avuto “complici nel modo più assoluto nell’azione che mi viene contestata”. Tuttavia Gabriele, rispondendo al presidente del tribunale Dalla Torre e al promotore di giustizia (così si chiama il pm in Vaticano) Nicola Picardi, ha ricordato che nel corso degli interrogatori cui è stato sottoposto durante la fase istruttoria aveva “aveva fatto il nome di altre persone con cui era entrato in contatto”. Si tratta, ha aggiunto, “di un numero di persone enorme”.
Gabriele, comunque, si è dichiarato innocente: “Mi sento colpevole per aver tradito la fiducia che aveva riposto in me il Santo Padre, che io sento di amare come fossi un figlio”. Nelle migliaia di pagine di documenti sequestrati nella sua abitazione “moltissime riguardavano la Massoneria e i servizi segreti” hanno dichiarato in aula gli agenti della Gendarmeria che hanno effettuato le perquisizioni. Poi la pepita “apparentemente d’oro”, conservata in una scatola di scarpe. Infine la cinquecentina dell’Eneide, ugualmente sottratta dall’Appartamento Pontificio “reperita nella stessa perquisizione” e l’assegno da 100mila euro “saltato fuori successivamente, quando sono state repertate le carte trovate nell’abitazione”.
Tra i suoi confidenti anche due cardinali
Ci sono i nomi di cardinali, come Angelo Comastri e Paolo Sardi, vescovi come Francesco Cavina (ora alla diocesi di Carpi ma in precedenza alla Segreteria di Stato), e persone in passato molto vicine al Papa come l’ex segretaria Ingrid Stampa tra le persone con cui Gabriele aveva contatti e scambiava confidenze su problemi riguardanti la Santa Sede. Emerge da un interrogatorio del 6 giugno scorso con il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet e citato oggi nella seconda udienza del processo. Contatti già emersi a giugno, quando era spuntata la voce di un cardinale sotto inchiesta (il Vaticano aveva smentito).
Il promotore di giustizia Nicola Picardi ha chiesto conto a Gabriele di quanto detto nell’interrogatorio sul fatto di essersi sentito “suggestionato” dalla “situazione ambientale”, parlando di vicende che costituivano “scandalo per la fede”, e delle “confidenze che scambiava, è stato ricordato con il card. Comastri, mons. Cavina, il card. Sardi, che aveva definito “una specie di guida spirituale”, e Ingrid Stampa. Il magistrato gli ha anche chiesto se c’era solo “suggestione” e anche “collaborazione”.
Il cardinale Angelo Comastri, 69 anni, vicario generale del papa per il Vaticano, arciprete della Basilica di San Pietro e membro della Congregazione per la dottrina della fede, è stato collaboratore stretto di Ratzinger: è stato lui a scrivere per il papa le meditazioni per la Via Crucis presieduta da Benedetto XVI al Colosseo nella notte del Venerdì Santo del 2006.
Il cardinale Paolo Sardi, 78 anni, diacono di Santa Maria Ausiliatrice in via Tuscolana e patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta. Ma soprattutto principale collaboratore di Ratzinger nella redazione dei testi e dei discorsi. E’ una figura tutt’altro che secondaria: è stato vice camerlengo (il camerlengo è reggente della Santa Sede dal momento della morte del pontefice al termine del conclave). Ma anche sua eminenza Sardi non è più nella cerchia di collaboratori stretti di papa Ratzinger: ha dato le dimissioni all’inizio del 2011 per raggiunti limiti d’età.
Gabriele ha però risposto di non riconoscersi nella ricostruzione degli inquirenti, frutto di una “estrema sintesi di un discorso molto più ampio” su quanto l’aveva spinto a fare quello che ha fatto. Ha ricordato che i suoi rapporti con prelati partivano dai primi tempi del suo lavoro in Vaticano, in particolare alla segreteria di Stato, dove quello con Sardi era stato un “primo approccio” con una persona poi da lui individuata come “un punto di riferimento”. “Poi negli anni – ha aggiunto le cose sono cambiate e ora ritengo di non poterlo più definire come una guida spirituale”.
L’ex maggiordomo ha contestato si potesse usare la parola “suggestione” in relazione alle persone citate, e tanto meno si potesse parlare di “collaborazione”. “Anche perché dovrei fare altri nomi”, ha aggiunto. E anche quando in istruttoria gli era stato chiesto con quante persone parlava, la risposta era: “Dovrei dire un numero enorme di persone”. Gabriele ha quindi ribadito di “non aver avuto altri complici” nell’appropriazione e nella fotocopiatura di documenti.
“Ho cominciato a raccogliere documenti dopo il caso Viganò”
L’ex maggiordomo racconta che “la fase clou della raccolta dei documenti riservati è cominciata nel 2010”, cioè quando “è emerso il caso di monsignor Carlo Maria Viganò”. Si tratta dell’ex segretario del Governatorato (la “banca” del Vaticano) una cui lettera riservata fu diffusa dai media nella quale il monsignore lamentava la cattiva gestione finanziaria precedente la suo arrivo del governatorato e protestava per il suo spostamento a Washington come nunzio apostolico. La Santa Sede successivamente precisò che l’azione di risanamento finanziario era andata avanti anche dopo lo spostamento di Viganò. Ancora Gabriele ha spiegato che la “raccolta di documenti è andata avanti dal 2010/2011: a volte raggruppavo le carte, seguivo il mio istinto”. Si tratta di documenti che sono stati, secondo Gabriele, “solamente fotocopiati”. L’azione è stata motivata da Gabriele in questo modo: ho agito “per lo stato d’animo e lo sconcerto per una situazione diventata insopportabile e diffusa ad ampio raggio in Vaticano”.
“Quando la situazione è degenerata – ha detto Gabriele nel corso dell’udienza – ho capito ancora più fortemente che doveva consegnarmi alla giustizia, ma non sapevo come”. “Il primo passo – ha aggiunto – è stato spirituale . Sono andato da un confessore a spiegare cosa avevo combinato”. Quindi Gabriele ha portato al confessore la seconda copia dei documenti fotocopiati (l’ex maggiordomo ha detto di aver fatto in tutto due copie dei documenti, una da consegnare all’esterno e l’altra da conservare affinché rimanesse prova di quello che effettivamente riguarda le sue azioni). “Il confessore – ha detto poi Gabriele – si chiama padre Giovanni”. Ma non ha detto il cognome.
Il segretario del papa, padre Georg: “A casa di Gabriele anche documenti del 2006”
Ma la versione contrasta con quella del segretario di Benedetto XVI, padre Georg Gaenswein, che parla di materiale del 2006, molto prima del caso Viganò. “Durante gli anni del suo servizio non ho mai avuto ragione di dubitare del suo operato” ha dichiarato monsignor Gaenswein che ha giurato sul Vangelo prima di rispondere alle domande e che non ha rivolto alcuno sguardo all’imputato (che si è invece alzato in piedi quando è entrato nella stanza).
Il segretario del Papa ha poi riferito davanti ai giudici, in una deposizione durata circa 35 minuti, di aver cominciato ad nutrire sospetti su Gabriele quando leggendo il libro Sua Santità, si era accorto che c’erano due lettere mai uscite dal suo ufficio. “Ci sono state due lettere originali, una del giornalista Bruno Vespa indirizzata a me e una di un direttore di banca milanese anche indirizzata a me. Questi documenti non sono mai usciti dal mio ufficio, non sono andati ad altri dicasteri, ne avevo solo riferito al Papa verbalmente. Questo ha sollevato in me il sospetto che fossero stati fatti uscire proprio dalla mia stanza”.
Perciò, ha continuato monsignor Gaenswein, nella riunione con la famiglia pontificia del 21 maggio, agli atti dell’istruttoria acquisiti al processo, “ho detto a Gabriele che avevo sospetti ma mai pensavo in quel momento alle cose molto più gravi, come quelle di cui mi sono reso conto potendo vedere successivamente le carte sequestrate dalla Gendarmeria” , rispondendo a domande sulla gestione dell’ufficio ha sottolineato: “Mi giudico una persona precisa, anzi molto precisa e non ho mai riscontrato mancanza di documenti”. “Quando siamo andati con i gendarmi per controllare il materiale sequestrato – ha proseguito – ho visto sia fotocopie, sia originali. I primi originali risalgono all’inizio del servizio di Gabriele, originali del 2006, 2007, 2008”. Comunque, ha aggiunto, “gli originali erano pochi”.