Da quella notte la Polizia fa più paura. Da quel 21 luglio 2001, quando le immagini della “macelleria messicana” della scuola Diaz di Genova iniziarono ad arrivare nelle case degli italiani. Prima le barelle, il sangue, i feriti, le urla, i poliziotti impassibili che scortavano gli arrestati all’uscita del cancello con le mani dietro la testa. E il giorno dopo, quando si vide l’interno, le innumerevoli macchie rossastre, i segni di un’esplosione di violenza che non avevamo visto nemmeno negli anni di piombo, perlomeno contro giovani inermi. Quelle immagini sono periodicamente riemerse ad ogni passaggio importante dei processi. E ancora, di recente, col film di Daniele Vicari.
È un marchio vergognoso rimasto cucito addosso ad ogni divisa blu delle nostre Forze dell’ordine.
C’ero, in quei giorni, a Genova. E nella memoria ho fissate quelle e altre terribili immagini: il corpo esanime di Carlo Giuliani in Piazza Alimonda, le cariche della Polizia e dei Carabinieri, la città devastata dalle inquietanti figure nere dei black block, l’orizzonte punteggiato di fuochi e colonne di fumo.
Ma le teste spaccate della Diaz, come pure le torture di Bolzaneto, aggiungono ai cupi ricordi di una violenza mai vista, il sapore amaro di un massacro perpetrato su giovani inermi, che dormivano, o che alzavano le mani in segno di inutile resa di fronte ai colpi dei famigerati “tonfa” che spezzavano e laceravano.
Le motivazioni alla sentenza di luglio della Corte di Cassazione, rese note ieri, danno un ritratto – se possibile – ancora peggiore di quella “notte di sospensione della democrazia”, com’è stato definito l’episodio dell’irruzione sanguinosa alla scuola di Genova.
La Polizia è stata definita dai giudici «sadica e cinica». Gli arresti immotivati un «discredito gettato sulla Nazione agli occhi del mondo intero». L’irruzione un «massacro», «caratterizzato per il sistematico e ingiustificato uso della forza».
Le motivazioni della sentenza sono durissime: 186 pagine che sono quasi peggio della condanna che ha azzerato nel luglio scorso i vertici del Corpo.
Le parole usate dalla Suprema Corte confermano quanto era stato detto e scritto in questi anni: la Diaz fu trasformata in una “macelleria messicana”. Gli agenti, scrivono i giudici, «si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di non violenza provenienti dalle vittime, pure insultate al grido di “bastardi”».
La Cassazione, però, lancia pesanti accuse anche a Gianni De Gennaro. A monte del massacro c’è «l’esortazione rivolta dal capo della Polizia a eseguire arresti», scrive la Suprema Corte, «anche per riscattare l’immagine della Polizia dalle accuse di inerzia».
In tutti questi 11 anni De Gennaro ha fatto finta di nulla. E le nostre istituzioni – che peraltro hanno promosso e premiato quelli che ora vengono definiti macellai – non solo l’hanno lasciato al suo posto ma gli hanno pure dato (proprio col governo Monti) la carica politica di Sottosegretario alla sicurezza.
Almeno dopo questa sentenza – non è mai troppo tardi – ci aspetteremmo un responsabile atto di dimissioni, come giustamente chiede Vittorio Agnoletto. Almeno dopo questa sentenza, ci aspetteremmo anche un atto di responsabilità da parte dei politici che si trovarono a gestire quelle giornate di Genova, perché non ci crede nessuno che De Gennaro e i suoi sottoposti avessero agito senza un “via libera” o almeno una consultazione di qualche esponente di Governo.
Siamo di fronte a un’altra, ennesima occasione di fare verità. Senza la quale la polizia fa più paura. Mi aspetterei che ogni suo buon agente – e ce ne sono moltissimi – osasse dire che non ci sta. Che quella sua divisa è stata disonorata e va ripulita. Altrimenti resta macchiata per sempre.