Una nuova specie d’intellettuali-scienziati è apparsa da qualche tempo a questa parte sui maggiori mezzi d’informazione, siano essi quotidiani, trasmissioni televisive o siti di “approfondimento”. E’ onnisciente perché la nuova specie d’intellettuali-scienziati è fatta da economisti che, magari dall’alto della loro cattedra made in Usa, discetta su qualsiasi campo dello scibile umano, dalla finanza alla politica, dalla moralizzazione della vita pubblica (con tanto di controllo dell’attività delle mogli dei ministri) all’organizzazione della ricerca scientifica e universitaria. In questi ultimi tempi è difficile non aver notato l’attivismo di Luigi Zingales che, oltre a presentarsi come un intellettuale-scienziato, ha vari altri ruoli: è consigliere di Matteo Renzi ed è uno degli animatori del nuovo movimento politico di Oscar Giannino, formato, guarda caso, da parecchi economisti e che ha, guarda sempre il caso, parecchi punti in comune con quello di Renzi.
Ma questa nuova (?) “rivoluzione liberale” da quali basi parte? Vediamo ad esempio, quali sono i tre punti, secondo Luigi Zingales, per cui l’epocale riforma Gelmini, che avrebbe finalmente introdotto il merito nell’università, è “di gran lunga la migliore riforma fatta dal governo Berlusconi”. “Il primo riguarda l’introduzione di un sistema di “up or out” per i ricercatori: o vengono promossi entro un certo numero di anni o vengono licenziati.” A due anni dall’introduzione della riforma Gelmini ci sono solo i ricercatori licenziati: gli altri in pratica non sono stati mai assunti dalle università. Pazienza se c’è qualcosa che non ha funzionato, e pazienza se a farne le spese sono un paio di generazioni di giovani ricercatori: cose che capitano.
“Il secondo passo rivoluzionario della riforma Gelmini consiste nell’introduzione di una differenziazione di stipendio basato sul merito e non sull’anzianità.”. E chi non sarebbe d’accordo a premiare il merito e non l’anzianità? Purtroppo nella riforma Gelmini questo è assente e più che un passo rivoluzionario questa è propaganda di regime: stessi slogan preconfezionati usati dalla Gelmini. “Il terzo passo avanti effettuato dalla riforma è proprio sulla governance. Innanzitutto, si impone un limite al mandato dei rettori, forzando un salutare ricambio”. Questa supposta innovativa e draconiana misura è del tutto inventata in quanto il limite del mandato già era presente negli statuti delle università. Inoltre, non solo i rettori sono stati i principali supporters della Legge Gelmini, ma, guarda caso, stanno ancora tutti al proprio posto. Si sa però che l’università è sempre stata una materia ostica, soprattutto per chi la vede da fuori. Passiamo ad un argomento più semplice.
Siamo nel 2003 all’inizio del secondo governo Berlusconi e il Prof. Zingales si cimenta in una dotta dissertazione su “Potere economico e potere mediatico”. Il concetto espresso fa venire in mente Johnny Stecchino quando apprende che a Palermo c’è un grande problema: il traffico! Forte di una poderosa serie di dati statistici, il prof. Zingales rileva che i media in Italia sono anomali perché le proprietà dei gruppi industriali raggiungono il 100% della stampa, e perché lo Stato possiede il 50% dei canali Tv contro la media del 38% in altri paesi: ed ecco far capolino lo Stato corrotto e parassita. Forse ci si dimentica il piccolo dettaglio che in Italia un solo gruppo possiede il restante 50% della Tv e buona parte dei giornali ed esprime anche il capo del governo. Ma in confronto alla vittoria del mercato sullo Stato (corrotto e parassita) cose volete che importi chi sia il privato proprietario della televisione? D’altronde ci sarebbero da considerare dettagli ben più rilevanti per uno che sta al fianco di Oscar Giannino, editorialista di Panorama, altro settimanale in mano di chissà quali privati, che, come se niente fosse, dichiara oggi “diciotto anni di centro destra hanno un bilancio eticamente disastroso e politicamente impresentabile…”.
Si dirà che l’università e i media italiani sono dei problemi troppo complicati per un accademico americano, che vive in un paese in cui tutto è più semplice, c’è il bianco e c’è il nero e magari (ogni tanto e senza esagerare) anche delle regole. Allora, diamo un’occhiata all’articolo scientifico più citato del prof. Zingales il cui inizio recita: “…gli autori si chiedono se i settori industriali che hanno relativamente più bisogno di finanza esterna si sviluppano molto più velocemente in paesi con mercati finanziari più sviluppati. Trovano che sia così in un grande campione di paesi durante tutti gli anni ottanta…” Il che è come dire “gli autori si chiedono se le automobili che hanno bisogno di benzina si sviluppano molto più velocemente in paesi con pompe di benzina. Trovano che sia così in un grande campione di paesi durante tutti gli anni ottanta”. Questa è la “scienza” che ha dato supporto alla finanziarizzazione dell’economia, il cui effetto più strepitoso, la crisi economica attuale, non è stata certo prevista da cotanti scienziati. Questo articolo ha ricevuto migliaia di citazioni e i più maliziosi potrebbero anche concludere che ci sia un problema sociologico non banale con la carriera accademica in economia.
Come aveva notato Enzo Marzo, direttore della rivista (ovviamente sovversivia) Critica Liberale, “Tuttavia un merito ce l’ha Berlusconi: è stata la cartina di tornasole per far emergere quanto fosse illiberale la cultura “liberale” ufficiale. Quelli che noi abbiamo definito i “liberaloidi” hanno mostrato di essere del tutto estranei alla cultura liberale europea e americana. Reduci di un moderatismo opportunista e senza valori, infatuati di un liberismo anarchico e asociale, hanno fatto finta di credere che un cialtrone monopolista – che chiunque avrebbe potuto riconoscere a occhi chiusi come tale – non fosse nientepopodimeno che il messia di una rivoluzione liberale o di un liberalismo di massa. E cosi gli hanno offerto fino all’ultimo coperture ideologiche e ministri, hanno demonizzato gli avversari e hanno sostenuto senza arrossire la leggenda di un mitico programma liberale berlusconiano che il destino cinico e baro, e forse il comunismo internazionale, per due decenni gli ha impedito di realizzare. Sono queste colpe storiche che affossano e delegittimano il “liberaloidismo” per sempre.”
Tuttavia, invece di essere stati affossati, i “liberaloidi” vivono e lottano con noi, occupando tutto lo spazio mediatico e politico, con in più la beffa del penoso spettacolo dell’arretrata “sinistra” italiana che corre dietro a un “innovatore” che nei mitici Usa è il riferimento del conservatore Romney ed è incensato dall’estrema destra di Sarah Palin. Ma, infatti, non siamo il paese del Gattopardo?