Un partito muore così. Tra manette, ruberie, faide, minacce di scissioni, parlamentari inerti e smarriti. Sopra tutti e tutto aleggia lo spettro di un Capo indeciso e che non ha più voglia, costretto al silenzio dai suoi fedelissimi. La dissoluzione del Pdl è una frana continua. Verso il carcere, verso destra, verso il centro, verso il montismo, persino verso il nascente renzismo. Ovunque. L’arresto di Franco Fiorito scolpisce un memorabile epicedio per il partito degli onesti mai nato: “Meglio il carcere che il Pdl”. Che si può parafrasare in mille modi.
PRIMO CASO: “Meglio un nuovo Msi che il Pdl”. È la convinzione che agita da mesi Ignazio La Russa, tuttora triumviro in carica del Pdl. La Russa, Maurizio Gasparri, Giorgia Meloni e Gianni Alemanno si vedranno oggi a pranzo, il terzo nel giro di dieci giorni. L’ideona dell’ex ministro della Difesa è di fare una scissione morbida con la benedizione di Berlusconi. Una creatura almirantiana, legge e ordine, intruppando di nuovo Francesco Storace (forse anche i fliniani Briguglio e Bocchino) e consegnandola a Giorgia Meloni, che La Russa immagina come una Marine Le Pen italica. Dal Pdl al Msi, evitando accuratamente An, invenzione finiana. Alcuni sono entusiasti, tipo Massimo Corsaro e Fabio Rampelli. Altri tiepidi: è il caso di Maurizio Gasparri, per anni coleader con l’amico “Ignazio” di Destra Protagonista, l’ex correntone di centro di An. Dice però la Meloni: “Non vedo alcuna scissione all’orizzonte”. Al contrario dei neomissini, l’ex rautiano duro e puro Gianni Alemanno, primo sindaco nero della Capitale, vorrebbe guardare più al centro. E soprattutto non chiude alla prospettiva di un Monti-bis, odiatissimo invece da La Russa. Prima che esplodesse lo scandalo dei fondi alla Regione Lazio, il sindaco aveva due interlocutori forti: la governatrice Renata Polverini, sponsor del progetto civico “Città nuove”, e l’Udc di Pier Ferdinando Casini. Oggi è isolato e con un incubo in più: ricandidarsi a sindaco nella primavera del 2013, in contemporanea con le politiche, e non avere il paracadute di un seggio sicuro alla Camera. Per questo sono ancora forti le voci sulle sue dimissioni anticipate dal Campidoglio, per abbinare comunali e regionali entro la fine dell’anno. Così anche in caso di sconfitta, Alemanno rientrerebbe poi in gioco per il Parlamento. In fondo il tormentone della complessa scissione degli ex An è una questione di posti. Oggi, per limitarci a Montecitorio, i deputati del Pdl sono 209. Per il 2013 la previsione non supera i 130 e a La Russa, Berlusconi, ha già detto che non concederà più di venti seggi. Una miseria.
“MEGLIO MONTI e il centro che il Pdl”. La seconda declinazione dello strepitoso sfogo di Franco-ne Batman ha varie sfumature. La prima riguarda Beppe Pisanu, ufficialmente ancora nel Pdl, che con Casini e Fini forma la Triade del Monti dopo Monti. “Parassiti”, li ha definiti Giuliano Ferrara. Ma la fuga verso il centro è il pallino di tanti che sentono svanire la certezza di un seggio sicuro. L’ultimo caso è quello dell’ex ministra Stefania Prestigiacomo, che ha liquidato il Pdl come “una guerra tra piccoli gruppi di potere”. Sì, proprio lei che era al telefono con Luigi Bisignani, il faccendiere pregiudicato della P2 e della P4. Già, Bisignani e Gianni Letta. In Transatlantico, i falchi del Cavaliere nemici del gruppo Letta fanno l’elenco dei deputati doppiogiochisti rimasti in quota alla lobby già P4. Da un lato una finta fedeltà a B., dall’altro la tentazione di riciclarsi grancoalizionisti e sdoganarsi verso lidi centristi. Basta leggere, per esempio, le continue dichiarazioni di un’altra ex ministra, Mariastella Gelmini. Mara Carfagna, invece, smentisce ogni indiscrezione che la riguarda: “Apprendo dai giornali la notizia che me ne andrei”. Almeno per il momento. Il fronte più pericoloso, però, è stato aperto ieri dal ciellino Mario Mauro su Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani. Mauro, presidente dei parlamentari europei del Pdl, ha chiesto di non perdere più tempo, di andare oltre Berlusconi e di trovare un nuovo leader. Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e altro ciellino di rango, prova a disinnescare così la mina Mauro: “L’unica cosa che decifro è la candidatura di Alfano”. In realtà, anche dentro Comunione e Liberazione, ormai stufa del berlusconismo, sta mettendo radici il progetto di una lista civica nazionale per Monti per superare il fatidico bipolarismo muscolare di questo ventennio. La terza e ultima variante del “meglio il carcere che il Pdl” è surreale, da fantapolitica: “Meglio Renzi che il Pdl”. Racconta Marcello de Angelis, deputato del Pdl e direttore del Secolo d’Italia: “È la sindrome di chi sta fuori dalla partita. Non hai il tuo uomo in campo e fai il tifo per l’avversario del tuo nemico. Sento tanti miei colleghi pronunciarsi entusiasti per Renzi”. Questa sindrome sta contagiando soprattutto i pidiellini un tempo sostenitori di Montezemolo uomo nuovo del centro-destra. Come Isabella Bertolini, da mesi ai margini del suo quasi ex partito. Magari Renzi perde le primarie e fa qualcosa di nuovo, fuori dal Pd. Persino Michaela Biancofiore, irriducibile berlusconiana, è stata sentita spendersi per il sindaco di Firenze.
“MEGLIO il carcere che il Pdl”. Da Palazzo Grazioli, B. assiste in silenzio al funerale del Pdl. Promette azzeramenti, simboli e nomi nuovi (almeno 40 sulla sua scrivania) e fa dire a chi lo vede quotidianamente: “Non ha voglia di candidarsi”. Poi, però, fa trapelare che il suo nome vale da solo il 9 per cento. È scisso tra populismo e montismo. Un partito muore così.