Cronaca

Il pentito Grado: Dell’Utri “cucchiaio” di tutte le famiglie di Cosa nostra

La testimonianza del collaboratore di giustizia al nuovo processo per concorso esterno: il senatore e Mangano sarebbero stati i tramiti per l'investimento di Cosa nostra nei cantieri di Silvio Berlusconi a Milano. "La 'ndrangheta minacciò il Cavaliere, intervenne il boss Teresi"

Marcello Dell’Utri? Era il cucchiaio per tutte le pentole, quindi vicino a tutte le famiglie di Cosa Nostra, soprattutto la mia”. Parola di Gaetano Grado, storico capomafia della famiglia di Santa Maria di Gesù, braccio destro di Stefano Bontade e oggi collaboratore di giustizia. L’ombra lunga del denaro di Cosa Nostra è tornata a fare capolino sui rapporti finanziari tra Milano e Palermo negli anni ’70. Un rapporto saldo quello che si sarebbe strutturato sull’asse Sicilia-Lombardia, che secondo il collaboratore di giustizia Grado, condurrebbe direttamente a cospicui investimenti fatti dagli uomini più vicini a Bontade nei cantieri che Silvio Berlusconi mise in piedi negli anni ‘70. Il 30 agosto scorso, Grado è infatti tornato a deporre davanti ai magistrati della Procura nazionale antimafia raccontando particolari inediti sui rapporti che le cosche palermitane avrebbero instaurato con Marcello Dell’ Utri grazie all’intercessione di Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore legato alla famiglia mafiosa di Porta Nuova, considerato dallo stesso senatore del Pdl come “un eroe” .

Le parole del padrino di Santa Maria di Gesù hanno suscitato l’interesse del sostituto procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio, che stamattina ha chiesto di acquisire il verbale di Grado agli atti del processo d’appello che vede imputato Dell’Utri per concorso esterno a Cosa Nostra. Dopo la sentenza di rinvio della Cassazione, adesso la procura palermitana è impegnata a dimostrare che il senatore del Pdl continuò ad avere rapporti con la mafia anche nel periodo tra il 1978 e il 1982, ovvero quando lasciò Silvio Berlusconi per andare a lavorare per conto dell’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda. E proprio a quel periodo appartengono i racconti inediti di Grado. Che comincia la sua deposizione dai primi anni ’70, quando Mangano, non ancora stalliere, era soltanto il suo autista. “Tra il ‘72-‘73 ero senza patente – spiega il collaboratore di giustizia – e mi facevo accompagnare da Vittorio Mangano, che mi fu presentato da Giovanni lo Cascio, che era un uomo d’onore”.

Grado sarebbe stato testimone dell’offerta di lavoro ad Arcore che Dell’Utri fece a Mangano. “Una volta eravamo io, Mangano e Cinà (Gaetano Cinà, coimputato di Dell’Utri deceduto nel 2006) e Dell’Utri ci riferì che Berlusconi cercava uno stalliere. Io guardai Cinà e dissi che era ‘pane’”. Grado spiega che all’epoca aveva “interesse che Mangano lavorasse lì perché avevamo necessità di investire denaro a Milano” . Nel racconto del pentito quegli investimenti si sarebbero realizzati in fretta. “ Un giorno – spiega sempre Grado – Mangano disse che Teresi, mio fratello Nino (Nino Grado, assassinato dai corleonesi nel 1983 ndr) e Bontade investivano denaro proveniente dal traffico di stupefacente. Mangano mi disse che lui stesso aveva fatto diversi viaggi consegnando denaro personalmente a Dell’Utri”.

Quei viaggi lo stalliere dell’ex premier li faceva “in macchina, dove aveva un nascondiglio nel portabagagli. I soldi – spiega sempre Grado – erano portati a Dell’Utri che poi li investiva a Milano 1 e Milano 2”. Il collaboratore di giustizia spende qualche parola anche su Dell’Utri, che “ era amico di Mangano, Teresi e Bontade”, mentre lui non aveva “voluto mai frequentarlo perche faceva traffici che a me non interessavano”. Quindi racconta di una cena avvenuta tra il 1975 e il 1981 al ristorante Ai quattro Mori vicino ad Arcore. “Dell’Utri e Mangano si davano del tu – ricorda Grado – e giunti al caffè si misero a parlare di investimenti di proventi di droga attraverso consegne di denaro che Mangano portava a Milano”.

Secondo il racconto del collaboratore di giustizia, Cosa Nostra si sarebbe spesa anche per proteggere Berlusconi, che tra il 1978 e il 1981 avrebbe ricevuto minacce dalla ‘ndrangheta. “Un giorno a casa di Bontade arrivò Mimmo Teresi e disse che erano arrivate telefonate minatorie a Berlusconi da parte dei calabresi. Teresi andò da Mazzaferro (capo di una cosca di ‘ndranghetisti molto attiva in Lombardia negli anni ottanta, ndr) e poi disse che era tutto a posto e Berlusconi non venne più minacciato”. Secondo Grado, il boss Teresi “si interessò per salvaguardare i rapporti e i loro investimenti”.

Solo che dopo la guerra di mafia gli investimenti fatti dai boss palermitani rischiavano di andare perduti. Totò Riina, a capo della fazione dei corleonesi, voleva impadronirsi del denaro investito a Milano dalle famiglie sconfitte. Mangano, secondo Grado, fu uno dei primi a passare dalla parte dei vincitori, ed è per questo che lo stesso Grado ha raccontato di essersi attivato per farlo assassinare da tale Bruno Rossi, un presunto killer della camorra oggi collaboratore di giustizia, che interrogato dai pm ha confermato la versione dell’ex braccio destro di Bontade. In seguito il progetto assassino sull’asse mafia – camorra non andò mai in porto.

Il pg Patronaggio, stamattina, ha chiesto di sentire sia Grado che Rossi durante il processo contro Dell’Utri, mettendo a disposizione delle parti i verbali dei due collaboratori di giustizia. Il presidente della corte Raimondo Lo Forti ha aggiornato il dibattimento al 17 ottobre, data in cui verrà ascoltato come teste il banchiere Giovanni Scilabra, che ha raccontato di aver ricevuto da parte di Dell’Utri e di Vito Ciancimino alcune richieste di prestito per Silvio Berlusconi negli anni ’80.