Per un italiano trasferirsi in Cina è come ricominciare da zero. Col lavoro, le relazioni, la lingua e soprattutto la cultura. Per Oscar Chirizzi, da sette anni a Pechino, è stato così. “Il gap tra le due culture è talmente vasto che chiunque rischia di arrivare qui convinto di essere un fuoriclasse nel proprio settore, ma sbaglia. Ogni abitudine, comportamento è totalmente diverso dai nostri. Da come ti svegli a quante ore lavori a quanto tempo dedichi alla famiglia o al divertimento”.
Oscar ha 33 anni, vive in Cina dal 2005 e lavora come mediatore culturale, aiutando le aziende italiane a muoversi sul mercato cinese. “In sette anni ho fatto venti tipi di lavori diversi, tutti nell’ambito della mediazione. È stato relativamente facile crearmi un mio spazio nel settore perché gli italiani sono contenti di avere un loro connazionale, quindi qualcuno dalla loro parte, che li aiuti a farsi strada in un territorio che non conoscono, con un servizio veloce e a costi ridotti”. Con una laurea in lingue orientali la Cina per Oscar è stata una scelta obbligata, ma anche una strategia dettata dall’andamento dell’economia globale. “In poco tempo ho avuto la possibilità di vivere esperienze lavorative ad alto livello. Mi sono specializzato nello sport, un settore che sta crescendo molto. Ho iniziato con lo sci e poi il calcio, prima durante le Olimpiadi del 2008, infine, quest’anno con la Supercoppa italiana. In Italia non ci sarei mai riuscito”.
Come le grandi capitali dell’Occidente e più di altre città della Cina oggi è Pechino a offrire un contesto internazionale, l’ambiente ideale per chi ha idee, voglia di lavorare e fare esperienza. “Ho sempre vissuto a Pechino, l’ho scelta fin da subito perché racchiude tanta innovazione. Tutti gli stranieri che mettono piede in Cina colgono subito questa diversità che la rende molto più moderna e dinamica di tante altre città dell’Europa e degli Stati Uniti. Qui ci sono le migliori università, i migliori artisti, intellettuali, musicisti che hanno portato una cultura più elevata e stili di vita emancipati”. Eppure, nonostante questo, rimane difficile per un occidentale integrarsi con una cultura, una lingua e una tradizione profondamente diverse, soprattutto se si cerca di rimanere attaccati ai propri modelli. “La lingua non smetti mai di impararla, hai bisogno di allenamento continuo, anche stando sul posto. Il problema è che se non parli correttamente non potrai mai porti alla pari con un cinese. Ma non è tutto. Bisogna conoscere la cultura per sapersi relazionare nel modo giusto. È una specie di filtro interno che loro mettono contro l’arrivo massiccio e incontrollato di stranieri da tutto il mondo. I cinesi hanno capito che lo straniero è fonte di conoscenza e di ricchezza però nel momento in cui devono fare affari o stringere amicizie si guardano bene dal dare credito a chi arriva lì senza conoscere a fondo il paese”.
Per farci capire come funziona la loro cultura e quanto peso hanno le loro tradizioni, Oscar parte proprio dalla lingua. “In cinese non c’è una sola parola per dire fratello, ce n’è una per dire fratello maggiore e una per dire fratello minore. La stessa dinamica si realizza nella società dove non c’è mai parità nei rapporti e ogni scambio umano si basa sul dare e avere. Un tempo c’era il sovrano e il suddito, oggi c’è il padre e il figlio, il marito e la moglie, e così via. C’è sempre una persona che occupa una posizione superiore o inferiore a te e tu, volente o nolente, devi rispettare questa gerarchia altrimenti rischi dei fraintendimenti che possono comprometterti, che si tratti di lavoro o di qualsiasi altra relazione”.