I controlli preventivi sono l’arma più efficace per combattere il tumore: un’indagine condotta su 400 mila donne ‘a rischio’ di carcinoma mammario in 10 Asl lombarde ha permesso di individuare per tempo il tumore nel 4,1% delle persone che si sono sottoposte a test. Secondo la ricerca “Index”, che verrà presentata domani a Bergamo nel corso di un convegno organizzato dalla Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiso) e dal Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri (Cipomo), vengono effettuati molti controlli post-intervento che finiscono per distogliere risorse importanti per la prevenzione.
L’incidenza del tumore al seno è rapidamente cresciuta negli ultimi 40 anni (+186%) ma la mortalità è scesa dal 1990 al 2010 del 24%. I tassi di sopravvivenza sono al 97% a un anno dalla diagnosi e dell’87% a 5 anni. Secondo la ricerca, la mammografia bilaterale resta lo strumento più affidabile per l’identificazione: “Non c’è evidenza che altre tecniche, quali l’autopalpazione, la valutazione clinica della mammella e l’ecografia siano parimenti efficaci nello screening“. Ogni anno sono diagnosticati 47 mila casi, con un minimo di 954 casi ogni 100 mila soggetti in Puglia e un massimo di 2.682 casi in Friuli. I tassi di sopravvivenza sono invertiti tra Nord e Sud: nelle regioni settentrionali e centrali è dell’86% a 5 anni, mentre nel Mezzogiorno è dell’81%; “Dato probabilmente giustificato da una maggiore qualità del processo assistenziale delle regioni settentrionali – commenta la ricerca – che parte proprio dalla diffusione degli screening“.
Nelle donne sottoposte a intervento chirurgico e senza una recidiva nell’arco di un anno sono stati eseguiti complessivamente 8.457 esami, in media oltre 3,5 per paziente operata. Sempre mediamente, una paziente su cinque effettua una scintigrafia ossea e una su dieci una TAC. “L’analisi dei dati rilavati nelle Asl campione – rimarca lo studio – sembrerebbe evidenziare una bassa evidenza di beneficio in esami di follow up eseguiti in pazienti che hanno concluso con successo la terapia senza recidive. E se esiste un rischio di inappropriatezza questo ricade negativamente sul paziente due volte: primo perché si distolgono risorse che potrebbero essere impiegate diversamente, ad esempio per migliorare le campagne preventive di screening, secondo perché esami non necessari sottopongono comunque la persona malata a radiazioni, e comunque allo stress da attesa e da comunicazione dell’esito”. “Per il futuro – commenta il Direttore della Fiaso, Nicola Pinelli – sia la nostra Federazione che Cipomo intendono andare avanti da un lato valutando le performance aziendali con indicatori sempre più attuali, dall’altro impegnandosi per esportare queste esperienze anche nelle Aziende del resto d’Italia. Due obiettivi che puntano entrambi a migliorare la qualità delle cure offerte”.
Circa i tempi di attesa tra l’accertamento diagnostico e l’intervento chirurgico, è stato possibile fare la valutazione solo per cinque Asl e si è visto che solo nel 45,4% dei casi è risultato inferiore ai 30 giorni (limite previsto negli obiettivi del Piano Oncologico della Lombardia), con un’attesa media di 53 giorni. Il tempo intercorso tra l’intervento e l’inizio del trattamento farmacologico è stato di 58,5 giorni e soltanto il 19,6% delle pazienti ha iniziato la chemioterapia entro il primo mese. Il tempo medio di attesa per la radioterapia è stato invece di 111 giorni.