Le proteste violente che lo scorso settembre hanno infiammato il Pakistan, strascico dello sciagurato film Innocence of Muslims, hanno rilanciato nel Paese il tema dell’educazione. Se c’è un modo per combattere con efficacia la deriva estremista che in Pakistan, di fatto, tiene sotto scacco un governo debole e controlla larghe parti della Terra dei Puri, è investire sull’istruzione pubblica, istituzione che oggi versa in condizioni fatiscenti. E non è una metafora. Secondo un rapporto del ministero dell’Educazione del Sindh, regione sud-orientale del Pakistan, 12.794 scuole pubbliche sono sprovviste di tetto, 34.386 senza elettricità, 25.237 non hanno accesso all’acqua potabile.
Il governo di Islamabad ha sistematicamente operato tagli al sistema dell’educazione pubblica, portando il Pakistan ad essere il Paese che nel subcontinente indiano investe meno, rispetto al proprio Pil. Nel 2011 il Pakistan ha destinato all’istruzione pubblica solo l’1,5 per cento del Pil. In Bangladesh, uno dei Paesi più poveri del mondo, la cifra sale al 2,2 per cento, mentre il vicino governo indiano investe nell’educazione il 3,8 per cento del Pil. Secondo Dawn, quotidiano pakistano, la deriva delle scuole pubbliche ha avuto e sta avendo effetti devastanti sul tessuto sociale. L’alfabetizzazione è poco sopra il 50 per cento – nelle zone rurali, per le donne, scende fino al 30 per cento – mentre l’islamizzazione dell’istruzione sale vertiginosamente. Durante la dittatura del generale Zia-ul-Haq, tra il 1977 e 1988, le scuole coraniche (madrasa) hanno lentamente eroso terreno alla tradizionale istruzione pubblica e laica del Paese, fino al boom del nuovo millennio, reazione diretta della “lotta al terrorismo islamico”.
I dati del governo pakistano risalenti al 2008 certificano l’esistenza di oltre 12.500 madrasa, ma fonti non ufficiali sostengono ce ne siano almeno 40mila. Il curriculum scolastico – dall’educazione primaria fino al livello universitario – è incentrato sullo studio del Corano e dell’Islam in ogni aspetto, dalla legge alla letteratura, dalle scienze alla matematica. Ma la preparazione accademica non risulta sufficiente a garantire agli alunni un futuro nel mondo del lavoro e, nonostante in Pakistan la “laurea” conseguita in una scuola coranica sia parificata ad un master universitario in arabistica, la disoccupazione spesso è un destino inevitabile. Le conseguenze sociali sono purtroppo scontate: da un lato le élite dell’alta borghesia riparano su istituzioni laiche e private, molto costose, mentre la stragrande maggioranza dei giovani scolarizzati entra nel giro delle madrasa, controllate da istituzioni religiose vicine all’estremismo islamico.
A quel punto, reclutare giovani “arrabbiati” per violente manifestazioni di massa, sollevate secondo il pretesto del momento – vignette, film, libri blasfemi, droni americani, aumento del prezzo del riso – assicura alle organizzazioni settarie pakistane un vasto bacino di disperazione e violenza. Durante l’assedio del quartiere diplomatico di Lahore dello scorso 22 settembre, centinaia di giovani appartenenti vicini gruppo terroristico Jamaat-ud-Dawa (JuD) guidavano la testa del corteo, urlando slogan come “Gli Stati Uniti si meritano solo la jihad!”. Jamaat-ud-Dawa, ufficialmente bandita dal Pakistan nel 2008, è un movimento parallelo a Lashkar-e-Taiba, altra cellula terroristica responsabile di diversi attentati in India. JuD opera intensamente nelle zone più povere del Paese, raccogliendo fondi per fronteggiare emergenze naturali e provvedendo al coordinamento di attività caritatevoli, fondazione di madrasa comprese. Un cablogramma reso pubblico da Wikileaks nel 2010 ha rivelato che per l’attentato a Mumbai nel 2008, Lashkar-e-Taiba si servì dei fondi che gli attivisti di JuD avevano reperito in Arabia Saudita, gonfiando le richieste di offerte per la fondazione di scuole coraniche in Pakistan. L’estremismo in Pakistan si muove sull’asse di povertà, ignoranza, disoccupazione e manipolazione di giovani. Per rompere il cerchio non resta che investire nella scuola pubblica: Islamabad ha annunciato un pretenzioso programma di incentivi governativi, che dovrebbe portare la spesa per l’istruzione all’8 per cento del Pil nazionale. Ma molti, nel Paese, sono scettici su due punti. Dove troveranno i soldi. E se gli estremisti staranno semplicemente a guardare.
di Matteo Miavaldi