Commentando un mio precedente post dedicato alle “catene di Chávez” – ovvero alle chilometriche apparizioni a reti unificate del presidente bolivariano – alcuni lettori m’hanno fatto notare, talora con assai bruschi accenti e in piena sintonia con il “grande leader”, come questa forma di comunicazione forzosa (una media di quasi un’ora per ogni santo giorno degli ultimi 14 anni) non fosse, in realtà, che un necessario rimedio al travolgente predominio d’un sistema di media privati (le televisioni, in particolare) in mano alle oligarchie dell’Ancien Régime. E, manco a dirlo, implacabilmente, anzi, ferocemente avverse alle politiche del governo. Questi lettori hanno ragione. O meglio: avrebbero qualche ragione se le lancette del tempo si fossero, per miracolose ragioni, fermate all’anno 2002, quando Hugo Chávez Frías dovette fronteggiare prima una protesta di massa e, quindi, un vero e proprio golpe, più o meno apertamente sostenuto dalle “quattro sorelle” dell’etere venezuelano: RCTV, Venevisión, Televen e Globovisión (quest’ultima però visibile, via etere, solo a Caracas e Valencia). Nell’angolo del governo, nel contempo, null’altro che la statale Venezolana de Televisión…
Il problema – da questi lettori non visto, o visto con le deformanti lenti della fede – è che in questi dieci anni un bel po’ d’acqua (acqua inquinata, perlopiù) è in realtà passata sotto i ponti dell’informazione venezuelana. Il panorama mediatico venezuelano è cambiato. E non esattamente nella molto auspicabile direzione d’un maggior pluralismo. RCTV, la più grande delle quattro sorelle, è stata messa completamente fuori gioco con una serie di provvedimenti d’ordine amministrativo (prima la negazione del rinnovo della licenza per le frequenze via etere, poi la negazione di quella per trasmettere via cavo) la cui natura autoritaria ed ipocrita ha regalato ai vecchi golpisti una meritata aura di vittimismo. E questo mentre le altrettanto “golpiste” Venevisión e Televen – ben felici d’avventarsi sulle quote pubblicitarie lasciate libere da RCTV – s’affrettavano, in una sorta di patto di non aggressione, a metter da parte ogni ostilità verso il governo, abolendo di fatto tutti i programmi informativi con qualche ambizione d’andare oltre i confini d’un molto anodino ed ossequiente riportar di notizie. Sul piede di guerra (la guerra contro Chávez) non è, in questi anni, rimasta che la meno diffusa delle quattro reti: Globovisión. Formalmente libera, ma costantemente sotto la minaccia di nuove leggi (la cosiddetta “Ley Resorte”, in particolare) nate per punire la “disinformazione” ed il “terrorismo mediatico”. Leggi molto vaghe – basta l’accusa d’aver “turbato” la pubblica opinione per venire puniti con multe devastanti (fino al 5 per cento del bilancio aziendale del precedente anno) la cui erogazione è esclusiva competenza del potere esecutivo. Vale a dire: di Chávez medesimo.
Il quale Chávez ha, nel contempo, provveduto a creare, con pubblici denari, un “suo” impero mediatico. Ovvero: un sistema di ben sei reti via etere – la summenzionata VTV, Vive, TVes, Telesur, ANTV e Àvila TV – accompagnate da un’agenzia d’informazione (Agencia Venezolane de Noticias), tre quotidiani (Ciudad de Caracas, Correo del Orinoco, Vea), più una pletora di radio (circa 250) e reti televisive (36) cosiddette “comunitarie”. Laddove per “comunitarie” s’intende fedeli a chi le finanzia, cioè al governo (tanto fedeli, in effetti, che, in stragrande maggioranza, sono riunite in un’associazione nel cui statuto dichiarano se stesse “armi della rivoluzione bolivariana”). Qualcuno definisce tutto questo “un sistema d’informazione pubblica”. Ma evidente è che si tratta d’un vero e proprio apparato di propaganda di regime o, peggio, d’uno strumento d’incondizionata evangelizzazione chavista. Giusto per non restar nel vago: tutte le tv pubbliche sistematicamente si riferiscono a Capriles come al “candidato della estrema destra”, ed a Chávez come al “candidato della Patria”.
Domanda. Com’è possibile che, a fronte di quanto sopra, ancor oggi vi sia chi sostiene che l’informazione televisiva resta, maggioritariamente, nelle mani dei “nemici di Chávez” (il quale ha per questo, per legittima difesa, il diritto di ricorrere alle “catene”)? Il gioco è facile. Basta far finta non sapere che, da anni, solo una piccola frazione delle TV private (Globovisión) è ostile a Chávez; e, nel contempo, ricorrere a un dato esatto, ma fuorviante (anche se, a suo modo, indicativo): quello che si riferisce all’audience. Poiché è vero: ancor oggi oltre il 60 per cento del pubblico televisivo appartiene ai privati. O, più esattamente: perché è vero che Chávez ha creato, con i soldi di tutti, un suo impero mediatico, ma vero è anche che non riesce a far sì che la gente lo guardi. Ed è per questo che ha bisogno delle continue, soffocanti invasioni di campo delle “catene obbligatorie”.
Esemplare, in questo senso, la storia di TVes, la rete statale che, per ordine del sovrano, nel 2007 ha rimpiazzato RCTV. Chávez, mai avaro in materia di grandeur, l’aveva a suo tempo annunciata come “la BBC venezuelana”, regalandole tutti gli impianti illegalmente sequestrati alla malvagia tv “golpista”. Ma da quegli schermi non sono uscite, in questi sei anni, che insulse e servili porcheriole (programmi “majunche” verrebbe voglia di chiamarli parafrasando il lessico chavista) ed una audience sistematicamente al di sotto dell’1 per cento, non di molto aumentata, la scorsa estate, dalla esclusiva dei giochi olimpici gentilmente offertale dal governo…
C’è qualcosa “di sinistra” in tutto questo? Io non credo… E cercherò di spiegare perché.