L’hanno chiamato il “sistema Saggese”. E non tanto per l’enorme “privatizzazione” di denaro pubblico che l’ad di Tributi Italia, appunto, Giuseppe Saggese, è riuscito a mettere insieme nel corso di tutta l’onorata carriera. È il reticolo di connivenze e protezioni politiche che ha avuto la società negli anni a rappresentare un vero “scandalo nello scandalo” più volte denunciato in sede parlamentare e sempre – puntualmente – coperto. O lasciato cadere nel nulla come le risposte alle quattro interrogazioni parlamentari che i Radicali hanno presentato nel corso di tre anni e che hanno avuto un’unica – insoddisfacente – risposta quando ormai il governo Berlusconi era sull’orlo dell’abisso (20 giugno 2011). Ovviamente, non è un caso.
Val la peena di ricostruire alcuni passaggi parlamentari, di cui la Tributi Italia è stata protagonista, per dare il senso del vischioso sistema di connivenze eretto a difesa della società da parte del governo Berlusconi. Il primo avvenimento, d’altra parte, è stato eclatante. E ha riguardato una vera e propria norma “ad aziendam” (non a caso ribattezzata “norma Tributitalia”), inserita nel decreto fiscale 2010, firmato dal ministro Tremonti, che ha consentito alla società di Saggese di utilizzare la legge Marzano per il concordato delle grandi imprese in crisi (la stessa procedura utilizzata per Alitalia, giusto per capire le dimensioni). Era l’articolo 3, comma 3 del provvedimento, grazie al quale Tributi Italia ha avuto accesso alle procedure di ristrutturazione economica e finanziaria, evitando la bancarotta e continuando a svolgere attività di accertamento e riscossione dei tributi locali. In più di 400 comuni. La parte più scottante del comma è infatti quella in cui si dispone “la persistenza delle convenzioni vigenti con gli enti locali immediatamente prima della data di cancellazione dall’albo”: Tributi Italia, infatti, aveva in corso una procedura di cancellazione che, però, come ha ricordato anche ieri Rita Bernardini, ha avuto un iter molto lungo e sofferto in commissione Finanze di Montecitorio.
“Come già abbiamo ricordato nell’interrogazione del 13 aprile del 2010 – racconta la Bernardini – c’erano persone interne alla commissione di sorveglianza sugli enti di riscossione, che faceva gli interessi diretti della famiglia Saggese”. E non solo lì, certo. Il dicastero dell’Economia era retto da Giulio Tremonti, componente anche della commissione Finanze della Camera dove, tuttavia, non andava mai, visto che il lavoro vero di calendarizzazione delle discussioni (quello più delicato per stabilire le priorità) era nelle mani del presidente Gianfranco Conte, anche lui Pdl. Fin qui, in apparenza, nulla di strano. Ma è leggendo i resoconti dei lavori nella Commissione, come d’altra parte, i verbali delle riunioni tenute al ministero dell’Economia e delle Finanze della Commissione che gestisce l’albo dei riscossori che si scopre come sia stato tortuoso il cammino per la cancellazione dall’albo di Tributi Italia. E che l’Anci, l’associazione dei Comuni, non è sempre stata presente alle riunioni dell’Anacap (l’associazione di categoria dei riscossori). E che – soprattutto – tra i componenti di quest’ultima, che ha voce in capitolo sulla cancellazione, ci fosse Pietro Di Benedetto che fa l’avvocato e difende proprio Tributi Italia. L’avvocato di famiglia successore del primo, storico legale della società dall’epoca della prima denuncia per frode, datata 1999: Niccolò Ghedini.
Fino al 2010, la società aveva speso non meno di 6 milioni di euro (come si legge nell’interrogazione parlamentare del 2010) per pagare i suoi consulenti legali. Tasse dei cittadini? Alla luce degli ultimi fatti, la domanda è più che lecita. Insomma, quel fiume di denaro che anno dopo anno scompariva dopo essere stato prelevato dalle tasche dei contribuenti, era un po’ sotto gli occhi di tutti. Ma il “sistema Saggese” proteggeva la società, in barba alle richieste di indagini ispettive e trasmissione degli atti alla Corte dei conti, come minacciato da Idv e Radicali, per configurare un danno erariale.
“Volevamo uno strumento legislativo che potesse garantire innanzitutto i cittadini contribuenti – sostiene infine la parlamentare radicale – perché non è fallita solo Tributi Italia, è fallito un intero sistema. Il sistema della riscossione dei tributi va ora ripensato in modo da assicurare l’interesse generale”.
da Il Fatto Quotidiano del 5 ottobre 2012