L’avvocato Cattafi, considerato come il trait d’union tra Cosa Nostra e la politica, è finito nuovamente agli arresti. Il verbale è stato secretato. Avrebbe detto di aver registrato il magistrato che era vice dirigente del dipartimento amministrazione penitenziaria nel 1993, quando non vennero rinnovati i provvedimenti di carcere duro per i mafiosi
Due registrazioni su cui sarebbe incisa la voce di Francesco Di Maggio, il magistrato che era vice dirigente del dipartimento amministrazione penitenziaria nel 1993, quando non vennero rinnovati oltre trecento provvedimenti di carcere duro per detenuti mafiosi. Nell’indagine sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra potrebbero spuntare nuovi indizi e nuove prove. E a fornirle potrebbe essere un testimone d’eccezione: l’avvocato Rosario Cattafi, considerato da diversi collaboratori di giustizia come il trait d’union tra Cosa Nostra, la politica, la massoneria coperta e gli ambienti dei servizi segreti. Cattafi è finito nuovamente agli arresti nelle scorse settimane e da qualche giorno il ministro della giustizia Paola Severino gli ha inflitto il 41 bis accettando l’istanza del procuratore capo di Messina Guido Lo Forte.
Dopo l’arresto, Cattafi avrebbe fatto cenno a inedite rivelazioni sulla trattativa Stato – mafia, durante alcuni interrogatori davanti ai sostituti procuratori dell’antimafia peloritana Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo.
E proprio per interrogare Cattafi, il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene sono andati a Messina in trasferta. Davanti alle toghe palermitane Cattafi avrebbe confermato di essere in possesso di alcune registrazioni in cui sarebbero incisi due suoi incontri con Di Maggio nel 1993. In quel periodo Cattafi era detenuto, dopo essere finito coinvolto nell’inchiesta sull’autoparco via Salomone a Milano, dove al civico 78 si muoveva un’organizzazione criminale borderline, che vedeva membri di Cosa nostra e della ‘Ndrangheta impegnati nel riciclaggio e nello spaccio di droga. L’avvocato è stato ascoltato per alcune ore dai magistrati palermitani e alla fine dell’interrogatorio il suo verbale è stato secretato. Oltre che alle registrazioni, Cattafi avrebbe fatto cenno ad un incarico che avrebbe ricevuto da Francesco Di Maggio proprio nell’autunno del 1993, quando era detenuto per l’affare dell’autoparco. Di Maggio è considerato dagli inquirenti uno dei suggeritori dell’ex Guardasigilli Giovanni Conso, autore “in completa solitudine” della mancata proroga dei decreti di carcere duro per detenuti mafiosi. L’alleggerimento del 41 bis è uno degli oggetti principali della trattativa al tritolo tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra. L’inchiesta sul patto Stato – mafia approderà per la prima volta in un aula di giustizia il prossimo 29 ottobre, quando davanti al gup Piergiorgio Morosini si terrà per i dodici imputati la prima udienza preliminare.
Dopo la secretazione del verbale, le dichiarazioni di Cattafi sono al momento al vaglio dei magistrati della procura di Palermo. È per questo che poco prima di procedere al suo interrogatorio, gli inquirenti palermitani si sono consultati in un vertice con i colleghi dello stretto. L’avvocato di Barcellona Pozzo di Gotto è infatti un testimone quantomeno atipico. Considerato come il “quarto livello” delle associazioni criminali nel peloritano, è stato per anni lontano dai riflettori. “Il numero uno, il contatto diretto con le istituzioni deviate, la politica, la pubblica amministrazione, la magistratura e le forze dell’ordine” è il ritratto tracciato da Carmelo Bisognano, ex capomafia della famiglia dei mazzaroti, ora collaboratore di giustizia. Più inquietante il racconto fornito dal pentito Maurizio Avola, killer della cosca catanese, al settimanale Sette già nel maggio del 1998. “Cattafi era uno molto potente, per noi era più importante degli altri uomini d’onore perché eravamo convinti che fosse legato ai servizi segreti e anche alla massoneria. Rappresentava l’anello di congiunzione tra la mafia e il potere occulto”. Negli anni seguenti Avola racconta anche altro ai magistrati della città sullo stretto. “Cattafi ci faceva dei favori, degli omicidi e loro ci facevano passare della droga, coprivano i reati diciamo. I favori li faceva ai servizi segreti. E loro in compenso, se lui passava delle armi o grossi quantitativi di droga, non lo arrestavano. Davano il passaggio libero”. È una storia in chiaroscuro quella dell’avvocato Cattafi, iniziata negli anni violenti dell’estrema destra universitaria a Messina, proseguita con i contatti mai dimostrati con il capo dei capi Stefano Bontade, e quindi approdata ai maxi affari degli anni ’90. Vicino alle attività della Corda Frates, l’associazione di Barcellona Pozzo di Gotto che annovera tra i suoi iscritti anche il procuratore generale Franco Cassata, sotto processo per diffamazione aggravata a Reggio Calabria, Cattafi viene è considerato dall’antimafia messinese come “una figura inquietante, quanto mai sfuggente ed enigmatica, dotata di sorprendenti attitudini relazionali e di non comuni abilità”. E non è forse un caso che l’avvocato Cattafi sia originario di Barcellona Pozzo di Gotto, che fu per anni il covo del boss Nitto Santapaola, arrestato nel maggio del 1993, poco dopo l’assassinio del giornalista Beppe Alfano. Lo stesso periodo che per i magistrati palermitani è il fulcro centrale della Trattativa.