Tod’s, Iphone, Nikon sono alcuni dei marchi industriali riportati in un volume di Tecnologia delle scuole medie, come si trattasse d’un catalogo di vendita. Al menù di McDonald’s è addirittura dedicata un’intera pagina, con tanto di calorie a confronto e box che addolcisce gli effetti del fast-food. Questo nonostante il codice di autoregolamentazione del Settore Editoriale Educativo vieti i messaggi promozionali espliciti
C’è un bel paio di Tod’s blu, c’è l’Iphone, c’è una fotografica digitale della Nikon, tutto con marchio in evidenza. Non nel catalogo d’un rivenditore, ma in un libro di tecnologia delle scuole medie: edito dall’Istituto Italiano Edizioni Atlas, ad opera di Sottsass (parte grafica) e Pinotti (testi). Il codice di autoregolamentazione del Settore Editoriale Educativo è chiaro a riguardo: sono vietati i messaggi promozionali espliciti o le forme di esempi pubblicitari che stimolino i consumi giovanili. Eppure sfogliando il volume di scuola media, al capitolo sulle tecniche di lavorazione del cuoio e della pelle, sono riportate foto della scarpe italiane coi brand “Tod’s” e il marchio “I love Italian shoes” che è un rivenditore online. D’altra parte la foto di un paio di “Tod’s” si trova anche nel paragrafo delle proiezioni ortogonali, come esempio di applicazione del metodo. Si trovano poi foto dell’iPhone, al centro del paragrafo sui cellulari, e di una reflex Nikon, nel paragrafo delle fotocamere digitali. Il logo non è mai oscurato. Inoltre, nel paragrafo sulle etichette alimentari, si riportano foto di pacchi di “farfalle” della Barilla, così come nella parte della produzione alimentare c’è una pagina intera sulla dieta dei fast-food accanto al marchio della multinazionale McDonald’s.
“Noi rispettiamo il codice di autoregolamentazione” ha commentato il direttore editoriale delle Edizioni Atlas Invernizzi: “Se parliamo di tecnologia, che rispetto alla vecchia educazione tecnica prevedere espliciti riferimenti a settori produttivi, mettiamo esempi concreti del made in Italy. Si tratta di esemplificazione lecita”. Non è della stessa opinione Alberto Losi, l’esponente del Movimento Cinque Stelle che per primo ha denunciato il fatto, sul blog di Beppe Grillo, dopo aver comprato il volume di Tecnologia per il proprio figlio.
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D’altronde se guardiamo la pagina dedicata a McDonald’s, messa di fianco a quella sulla dieta mediterranea e sulla giusta piramide alimentare, si legge in un box: “Alimentarsi al fast food non sempre e non necessariamente significa assumere calorie e grassi in eccesso… possiamo anche al fast food assumere una razione alimentare corretta sia per la qualità e proporzione dei nutrienti, che per la quantità di calorie”.
“Bisogna stare molto attenti a parlare di calorie” commenta Laura di Renzo, professoressa della Scuola di Specializzazione in Scienza dell’Alimentazione all’Università di Roma Tor Vergata “razione alimentare corretta e fast food stridono, oltre al fatto che il fast food costituisce spesso un spuntino, che aumenta notevolmente l’indice di colesterolo saturo. E perciò fa male. Un Panino di Mcdonald’s e un piatto di pasta posso avere lo stesso numero di calorie, ma il secondo è nettamente migliore. Insomma mangiare spesso al fast-food non fa affatto bene, pur facendo il calcolo delle calorie”.
Del resto, in Italia un bambino su tre è sovrappeso o obeso e si moltiplicano le ricerche che mostrano una correlazione fra tale obesità e l’esposizione dei ragazzi alle pubblicità del “junk food”. Non tralasciando che i pilastri del fast-food sono le bevande zuccherate, le patatine fritte e gli hamburger. Le prime è accertato che contribuiscono direttamente all’epidemia di obesità e diabete (dal 2013 sarà vietata la vendita nei locali pubblici di New York); le seconde sono fritte in oli che non fanno bene a differenza di quello di oliva (e poi rinnovati ogni quanto?); mentre gli hamburger favoriscono il consumo di carne in un paese che ne mangia quasi il doppio di quella consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Inoltre gli hamburger dei fast-food provengono da allevamenti intensivi: tale carne accentua lo squilibrio omega 3-omega 6 a favore di questi ultimi, che stimolano la fabbricazione di cellule adipose fin dalla nascita e favoriscono l’accumulo di grassi, la coagulazione e la risposta infiammatoria delle cellule alle aggressione esterne. Inoltre la carne d’allevamento non è priva di antibiotici, al fine di prevenire le malattie ma anche per far crescere gli animali più velocemente. E ciò aumenta la resistenza batterica agli antibiotici negli animali, e plausibilmente anche in chi li mangia. Del resto l’impatto ambientale degli allevamenti intensivi è enorme: sono nocivi per l’atmosfera più dell’anidride carbonica, contribuendo al riscaldamento globale più di tutti i trasporti nel loro insieme; sono nocivi per le risorse idriche del pianeta, e sono nocivi perché contribuiscono alla deforestazione occupando quasi un terzo delle terre emerse. Infine la carne degli hamburger italiani proviene da quarti anteriori di vacche che non possono produrre più latte, carne che non si vende nei normali supermercati perché troppo dura e stoppacciosa: e dunque viene macinata, consentendo i bassi prezzi degli hamburger. Tali aspetti sotto stati posti all’attenzione della casa editrice, che ha ammesso la propria ingenuità nel trattare l’argomento fast-food e si è impegnata a consultare un esperto per la prossima ristampa.