Economia & Lobby

Il bello e il brutto di Crescita 2.0

Da una valutazione a caldo del dl Crescita 2.0 emerge come importante e realizzabile il provvedimento sull’e-Government. Alla scuola non basta fornire strumenti digitali, serve un ridisegno complessivo del processo di istruzione e investimenti sulla formazione degli insegnanti. Il problema delle start-up è trovare finanziamenti, ma alcune misure indicate sembrano velleitarie, altre possono produrre distorsioni. La parte più dubbia è il credito d’imposta per la realizzazione di opere strategiche, che sembra una riproposizione della già bocciata defiscalizzazione dell’Iva sulle opere pubbliche.

di Fabiano Schivardi* (Fonte: lavoce.info)

Il decreto legge Crescita 2.0, appena approvato dal Consiglio dei ministri, si compone di quattro voci principali.

E-Government

Il provvedimento sull’e-Government è importante e realizzabile. Il documento unificato (che sostituisce carta d’identità e tessera sanitaria), la sanità digitale e la Pa digitale possono semplificare la vita del cittadino, ridurre i costi dell’apparato pubblico, offrire servizi più efficienti, costituire banche dati con molteplici potenziali utilizzi (studi epidemiologici, lotta all’evasione). Il tono è perentorio (come dev’essere, per forzare l’apparato burocratico ad adottare le semplificazioni), a parte quando si dice che viene introdotta la possibilità di conservare in formato digitale le cartelle cliniche. Non si capisce perché questa deroga allo spirito del provvedimento, che avrebbe richiesto “l’obbligo”.

La scuola digitale

Quanto all’istruzione, si prevede un utilizzo di testi in versione digitale e di centri scolastici digitali. Qui le cose sono più complicate. La diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione negli ultimi vent’anni ci ha insegnato che contribuiscono al buon funzionamento dell’istituzione che le adotta solo se accompagnate da una profonda revisione delle modalità organizzative e dalla formazione degli operatori scolastici in modo che il loro utilizzo sia corretto. Non basta quindi comprare l’e-reader agli studenti. Serve un ridisegno complessivo del processo di istruzione e un forte investimento sulla formazione degli insegnanti. La stessa argomentazione si applica alla giustizia digitale: può contribuire molto a rendere i nostri tribunali più efficienti, ma richiede un ridisegno complessivo della loro struttura organizzativa e delle modalità di funzionamento. Introdurre l’elettronica è la parte più facile, la sfida è su tutto ciò che ne segue.

Le start-up innovative

Si inizia con una lista lunga di condizioni per definire la start-up innovativa, che coinvolge la struttura societaria, chi detiene il capitale (almeno il 51 per cento persone fisiche), età, soglie di fatturato, politiche di dividendi, contenuto innovativo variamente definito. A queste imprese si forniscono le seguenti agevolazioni:
a) Più flessibilità nell’utilizzo di contratti di lavoro a tempo determinato, nel fissare le modalità di compenso e di pagamento dei fornitori.
b) Risorse finanziarie: incentivi fiscali a chi investe in queste imprese, crowdfunding (raccolta diffusa di capitale di rischio tramite portali online), sostegno pubblico.
c) Semplificazione burocratica, certificazione e aiuto dell’Ice per internazionalizzarsi.

Le start-up innovative sono una fonte di crescita importante nelle economie avanzate. Giusto interrogarsi su vincoli alla loro diffusione. Il problema delle start-up è fondamentalmente quello dei finanziamenti. In quanto basate su progetti innovativi, è difficile per un potenziale finanziatore valutare la qualità del progetto. Ciò è particolarmente vero in Italia, dove domina il credito bancario, poco adatto a finanziare progetti rischiosi. La via maestra da seguire è di accrescere la platea di finanziatori che hanno i fondi e le competenze per far crescere queste imprese: venture capital, private equity, business angels eccetera. In Italia questi mercati sono ancora poco sviluppati rispetto al resto dei paesi industrializzati (si veda la figura sottostante). Bisogna agire a monte: sviluppare gli investitori istituzionali (leggi fondi pensione), che canalizzano i fondi verso quelli specializzati. Il decreto cerca di intervenire direttamente sulle start-up. Interventi diretti vanno regolamentati, ma normative troppo complicate possono avere effetti indesiderati. Le condizioni per essere definite “start-up innovative” possono contribuire a esacerbare le peculiarità del sistema imprenditoriale italiano, basato su piccole imprese a conduzione familiare: in particolare, quella che prevede che il 51 per cento del capitale debba essere di persone fisiche e che il fatturato sia inferiore a 5 milioni di euro. Altre sembrano piuttosto velleitarie, quale il crowdfunding. Altre ancora possono dare origine a distorsioni di vario tipo, come gli incentivi fiscali a chi investe in startup. Anche il sostegno dell’Ice e la certificazione degli incubatori ricordano un film già visto, e non a lieto fine.

Credito d’imposta

La parte più dubbia è il credito d’imposta per la realizzazione di opere strategiche, che sembra una riproposizione della defiscalizzazione dell’Iva sulle opere pubbliche già bocciata al giro precedente. Mancano i dettagli per capire bene di cosa si tratta. Ma dai documenti ufficiali sembra una forma indiretta di finanziamento pubblico, che non si capisce come possa “favorire la realizzazione di un considerevole numero di grandi infrastrutture, senza incidere sulle entrare erariali”.

*Fabiano Schivardi è professore straordinario di Economia politica presso l’Università di Cagliari. Si interessa di economia industriale e del lavoro, focalizzandosi in particolare su produttività e demografia d’impresa. I suoi lavori recenti considerano gli effetti della struttura dimensionale e proprietaria sulla performance delle imprese. Ha lavorato al Servizio Studi della Banca d’Italia dal 1998 al 2006, dove è stato responsabile dell’Ufficio Analisi Settoriali e Territoriali dal 2004. Ha conseguito il Ph.D. in Economia presso la Stanford University e la laurea e il dottorato presso l’Università Bocconi. È fellow dellEinaudi Institute of Economics and Finance (EIEF), del CEPR, del Centro Ricerche Economiche Nord Sud (CRENoS) e del BRIK. Fa parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulle piccole e medie imprese. I suoi saggi sono stati pubblicati su riviste internazionali e nazionali.