Latitante da circa tre anni, è stato arrestato dalla polizia in un’abitazione della frazione Sant' Andrea del Pizzone. Originario di Casapesenna, è ritenuto uno dei gregari più fidati del boss Michele Zagaria. Era nascosto in un bunker e, al momento dell'arresto, aveva addosso una pistola calibro 7,65 e 10mila euro in contanti
La polizia nel casertano ha arrestato a Francolise, nel Casertano, l’ultimo boss latitante del clan del Casalesi, Massimo Di Caterino, soprannominato “pistuolo”. Era ricercato dal 31 marzo 2010 perché destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione mafiosa, estorsione e favoreggiamento personale, reati aggravati dall’avere agito al fine di agevolare il gruppo Zagaria del clan dei Casalesi.
Nell’ordinanza a suo carico eseguita il 2 aprile del 2010 dai carabinieri, erano inclusi anche i nomi del padre di Michele Zagaraia, Nicola, di 85 anni, e il fratello Carmine assieme a un due imprenditori. Il processo ora in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere vede imputati, infatti, un gruppo di parenti e fiancheggiatori del capoclan accusati di associazione camorristica e, a vario titolo, tentata estorsione e rivelazione di segreto d’ufficio.
Originario di Casapesenna, come il suo capo, è stato trovato dagli agenti della Squadra Mobile di Caserta diretta dal vicequestore Angelo Morabito e della sezione distaccata di Casal di Principe guidata dal vicequestore Alessandro Tocco sotto il diretto coordinamento del procuratore aggiunto della DDA partenopea Federico Cafiero de Raho e del pm Catello Maresca. Il latitante è stato stanato all’interno di un’abitazione dove, nel box doccia, era stato ricavato un bunker. Lì si era nascosto per sfuggire alle forze dell’ordine e al momento dell’arresto aveva addosso una pistola calibro 7,65 e 10mila euro in contanti.
Nell’abitazione c’era anche alla moglie del latitante Marianna Zara, interrogata dagli agenti della squadra mobile di Casal di Principe e Caserta dopo la cattura del marito. Fermato ed accompagnato in Questura anche il proprietario dell’abitazione, Massimiliano Iossa, operaio locatario dell’immobile di due piani dotato anche di disturbatori di frequenze per rilevare apparati di intercettazione e telecamere esterne: dispositivi installati per l’avvistamento delle forze di polizia.
Di Caterino è ritenuto uno dei più fidati luogotenenti di Michele Zagaria, il boss arrestato dalla Polizia di Stato a Casapesenna il 7 dicembre 2011, dopo 16 anni di latitanza.
”L’arresto di Massimo Di Caterino, oltre a essere l’ennesimo brillante risultato della grande professionalità e tenacia degli uomini e delle donne della polizia di Caserta, rappresenta anche l’ennesimo allarme che non bisogna abbassare la guardia”. E’ quanto ha sottolineato, in una nota, Felice Romano, segretario generale del Sindacato Italiano Unitario Lavoratori Polizia (Siulp) secondo il quale, le caratteristiche del bunker e la grande disponibilità di denaro e di armi rinvenuti all’interno del covo, così come i sofisticati sistemi di vigilanza e di allarme oltre che di disturbo alle apparecchiature utilizzate dagli investigatori per rintracciarlo, “sono la prova che le potenzialità e la pericolosità della camorra nel casertano, nonostante i ripetuti colpi assestati dalla polizia, continua a essere allarmante e pertanto necessita di una continua e pressante azione della polizia”.
Romano, nell’esprimere i complimenti per la brillante operazione chiusa dai colleghi della mobile di Caserta, che conferma la sua ormai consolidata tradizione di ufficio determinante nella lotta alla camorra, sottolinea, ancora una volta, “come il sacrificio e lo spirito di abnegazione dei poliziotti casertani, così come quelli di tutta Italia, non possono essere trattati, da parte del Governo nella predisposizione delle risorse, come qualsiasi altro impiegato pubblico”.
“Con tutto il profondo rispetto che portiamo a ogni lavoratore del pubblico impiego – ha continuato – il Governo deve prendere atto, come già affermato dalla comunità europea, che la sicurezza è condizione imprescindibile per la democrazia, lo sviluppo economico e il rilancio del Paese e non un costo di sistema; giacché se non si comprende questa differenza è evidente che la sicurezza viene tagliata, come altri costi non indispensabili, e con essa anche la speranza e ogni possibilità di riscatto della ‘terra del lavorò e dell’intera economia del nostro Paese”.