Il 4 ottobre, giorno di chiusura degli uffici regionali, l'ex Idv, ora gruppo misto, Matteo Riva, ha intravisto quattro sconosciuti allontanarsi dal palazzo di viale Aldo Moro con pesanti sacchi in mano; ma per accedere negli uffici quel giorno c'era l'obbligo di un'autorizzazione. I magistrati stanno acquisendo le immagini delle telecamere a circuito chiuso
Un nuovo caso Watergate all’emiliana? Forse fatte le debite proporzioni e la distanza di ormai 40 anni da quei fatti, la storia raccontata dal consigliere regionale dell’Emilia Romagna, Matteo Riva, potrebbe essere degna di un giallo politico. La vicenda è quella ormai nota dei rimborsi ai gruppi del consiglio regionale, su cui i magistrati della Procura di Bologna hanno aperto una mega-inchiesta con l’ipotesi di peculato, per ora contro ignoti. Si indaga in maniera sistematica sulla gestione dei soldi pubblici, milioni di euro all’anno, in mano ai partiti in Viale Aldo Moro e su richiesta dei magistrati già da alcuni giorni la Guardia di Finanza si sta presentando negli uffici dei partiti a chiedere fatture e scontrini. Quintali di documenti che andranno passati al setaccio.
Ma è proprio da Viale Aldo Moro, dai parcheggi sotterranei del consiglio regionale che sembra scaturire un nuovo mistero nelle indagini. Riva, consigliere reggiano eletto nelle file dell’Italia dei Valori, ma poi migrato nel gruppo misto proprio per dissapori coi colleghi dipietristi, racconta come è andata giovedì 4 ottobre, il giorno della festa di San Petronio, patrono di Bologna. “Io esco alle 21:30 di un giorno in cui a Bologna è tutto chiuso. La sede della Regione è chiusa, blindata, non è aperta al pubblico. Anche i dipendenti che possono lavorare quel giorno – prosegue il consigliere di Reggio – devono avere un’autorizzazione speciale fatta dal loro dirigente”.
Alla sera Riva incrocia quattro strani personaggi: “Quando esco la sera, nella rampa che mi fa uscire dal garage, trovo questi quattro ragazzi vestiti bene, il giubbino giusto, un po’ fighetti. Uscivano con due sacconi enormi molto pesanti. Io li ho sfiorati perché la rampa è stretta, ho abbassato il finestrino, ho detto ‘buonasera’, ma loro si sono girati dall’altra parte”. Poi Riva precisa: “Li ho guardati in faccia, ma non li ho riconosciuti”.
Che cosa portavano via i quattro? Forse documenti utili alle indagini che la Procura sta svolgendo da giorni, andando con pazienza a rovistare tra i faldoni delle spese sostenute dai partiti? Ora i magistrati vogliono vederci chiaro anche su questo fatto e hanno acquisito sia le immagini delle telecamere in Regione sia i tabulati dei tesserini di ingressi e uscite. Prima però una tiratina d’orecchie per Riva (che non ha subito denunciato il fatto alle autorità, ma lo ha raccontato alla pagina bolognese di Repubblica) da parte del procuratore aggiunto di Bologna, Valter Giovannini.”In generale, chi riveste ruoli di responsabilità dovrebbe valutare, prima di dare conto alla stampa di fatti o situazioni da lui percepite come sospette, di riferirne agli inquirenti”, ha detto in mattinata il portavoce della Procura a chi gli chiedeva un parere sull’episodio. Riva si giustifica così: “Non ho pensato di fare denuncia perché non credo di aver visto commettere un reato”. Questo però ora lo verificheranno le indagini dei magistrati che vogliono capire di più da quel racconto. Così nel pomeriggio lo stesso Matteo Riva è stato chiamato in piazza Trento Trieste per essere sentito dai pm oggi stesso.