Dopo l'apertura dei lavori di questa mattina il segretario interviene nuovamente e chiede che siano ritirati gli 'emendamenti della discordia' sulle regole delle primarie. L'assemblea dà il via libera a Bersani per trattare le regole con la coalizione e approva con 575 sì e soli 8 no la deroga per la candidatura del sindaco di Firenze. Che dice: "Mi fido del segretario"
Lo scontro tra i democratici per il momento sembra evitato. Quando Pier Luigi Bersani interviene per la seconda volta all’assemblea nazionale del partito quasi tutti ne hanno ormai la consapevolezza. Il segretario, di suo, chiede ai delegati nazionali di ritirare gli emendamenti della discordia e di rimandare alla discussione interna alla coalizione i nodi su albo degli elettori e doppio turno. Del resto già all’apertura dei lavori, in mattinata, aveva precisato: “L’unica regola esistente che si cambia in corso d’opera” è la deroga che consente la corsa di altri candidati del Pd oltre al segretario alle primarie di coalizione (e che dunque consente la corsa di Renzi, ndr). Nel primo pomeriggio il nuovo appello: “Se noi usciamo bene dalla vicenda delle primarie non ci ammazza più nessuno”. In risposta, la platea gli affida, all’unanimità, il mandato a trattare con gli alleati per la stesura delle regole e del manifesto della coalizione. E subito salta – ritirato – l’emendamento Magistrelli, uno dei più invisi ai renziani, che prevedeva separazione fisica tra seggi e luogo di registrazione.
Cinque minuti dopo è il voto a decidere che per oggi non ci saranno scissioni. L’assemblea nazionale approva infatti la deroga allo statuto per consentire per questa volta non solo al segretario ma ad altri iscritti, Matteo Renzi in primis, di candidarsi: 575 i sì, 8 i no e una astensione. Un risultato che rende raggiante il segretario: “Oggi è stato un capolavoro di democrazia”. Dichiarazione alla quale segue l’apertura di credito dello stesso Renzi al segretario: “Mi fido di Bersani. Dicono che non saranno fatte leggi ad personam e io ci credo. Non è questa una giornata in cui voglio fare polemica perché bisogna parlare dei problemi della gente”.
L’operazione per smontare le polemiche, insomma, sembra avere fino a qui funzionato. Ma nonostante il risultato, nelle file del Partito democratico i dissapori continuano, anche con toni evidenti. A cominciare da Rosi Bindi, che chiosa l’assenza di interventi contro la modifica statutaria con un sarcastico: “Ce ne sarebbero moltissimi”. Poi chiarisce: “Girano strane interpretazioni,voglio che sia chiaro: l’emendamento è stato ritirato perché dalle parole di Letta si è chiarito che la registrazione dei votanti si chiude la domenica del primo turno. Quindi l’emendamento è stato ritirato perché superfluo”.
Ancora più duro il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, che su facebook scrive: “Penso che ogni modifica ad personam sia un cedimento alla prepotenza, e un partito senza regole è quanto di più berlusconiano ci possa essere. Le regole – aggiunge Rossi – servono ad evitare che si ripetano le esperienze di Napoli e Palermo e soprattutto per evitare che il leader del centrosinistra sia scelto dai nostri avversari”.
Distensione, invece, sul fronte dei renziani, con il coordinatore della campagna del sindaco di Firenze Roberto Reggi che commenta: “Abbiamo fatto bene a fidarci di Bersani. C’era qualcuno intorno a lui che remava contro, ma noi ci siamo fidati di lui e infatti lui e Letta hanno chiesto il ritiro di un emendamento che limitava la partecipazione al voto”. Reggi replica poi all’obiezione giunta a Renzi per cui l’assemblea e’ stata convocata proprio per permettere a lui di correre. “Oggi non si e’ fatto un favore a Renzi ma al Pd. Con queste primarie, per la prima volta veramente contendibili e secondo le due regole poste dal segretario, che voleva primarie aperte e ordinate, ci sarà un miglioramento del Pd e della politica. Se abbiamo regole chiare e un buon arbitro, giocheremo alla grande” ha spiegato Reggi, che ha ipotizzato si possa arrivare a “quattro milioni di elettori”.
L’endorsement di De Benedetti. In mattinata al segretario era arrivato l’endorsement di Carlo De Benedetti che ritiene che Bersani sia “una persona saggia ed equilibrata e non ci porterebbe verso nessuna avventura”. Tuttavia, secondo l’ingegnere, fare le primarie è un errore. “Non ho mai avuto la tessera di un partito, mi era stata caldeggiata la numero uno del Pd ma non l’ho mai presa. Ho comunque votato Pd alle ultime elezioni ma se fossi stato Bersani non avrei fatto le primarie. Lo statuto del Pd prevede infatti che il segretario del partito sia il candidato premier. Tutto questo gran bordello non porta a grandi frutti”. L’editore tuttavia pensa che il segretario “debba scrollarsi di dosso una nomenklatura che lo ha condizionato e che ha fatto male al Paese. Penso che lo farà”.
Fioroni: “Basta parlare di primarie, parliamo di politica”. Toni più sereni anche dal resto dei “notabili” del Pd. Anzi: Giuseppe Fioroni, “acerrimo nemico” di Nichi Vendola, spera che si smetta presto di parlare di primarie e si cominci a parlare di politica: “Il quadro politico è inadeguato, lo dice il presidente della Repubblica. Perdiamo 1-2 punti in una settimana. Credo che pensare che la nostra prospettiva politica sia un’alleanza e di un governo Pd-Sel che non guarda ai moderati e non tiene conto di un governo Monti sia un viatico per vincere le primarie, ma non per vincere le politiche”. Pippo Civati cerca di distendere la situazione usando l’ironia: “I grandi big del Pd hanno sempre un malessere e bisogna aiutarli a superarlo”.
Quello che c’è da togliere di mezzo, ribadisce il sindaco di Torino Piero Fassino, è che se vince l’uno o l’altro il partito possa dividersi: “Se vincerà Bersani tutto il partito sosterrà Bersani, se vincerà Renzi tutto il partito sosterrà Renzi”.
Di Pietro: “Anche noi siamo per il meglio del governo Monti”. Intanto al Pd arrivano messaggi distensivi da parte del presidente dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro. Se Bersani parla di un nuovo governo che raccolga in eredità il meglio dell’esecutivo Monti, l’ex magistrato risponde che “siamo sulla stessa lunghezza d’onda perché anche noi apprezziamo alcune cose fatte. Primo tra tutte la credibilità internazionale che prima non avevamo con Berlusconi. Alcune cose non le condividiamo ed altre vogliamo migliorarle. Proprio per questo noi crediamo che, chiunque sia il vincitore delle primarie, bisogna aprire un confronto sul programma, sulla visione di società. Noi vogliamo arrivare a un programma condiviso nell’interesse del Paese”.