Loro sono forti e non mollano, ma non è facile, soprattutto quando la normalità è ancora ben lungi dall’essere raggiunta, nelle zone colpite dal terremoto in Emilia. I medici di famiglia non hanno mai smesso di lavorare, ma a quattro mesi dal sisma sei su dieci, nei comuni più colpiti, da Mirandola a Finale Emilia, sono costretti a visitare ancora nei container visto che non sono potuti rientrare nei loro studi e gli ospedali devono dirottare molti pazienti verso altri comuni. A raccontare le difficoltà che devono affrontare ogni giorno i medici di famiglia emiliani è Nunzio Borelli, responsabile della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) per il distretto di Mirandola, in occasione del congresso della Federazione in corso a Villasimius.
”Ad oggi – spiega Borelli – il 60 per cento dei medici di famiglia dei comuni colpiti è ancora nei container. La situazione è drammatica: non sappiamo infatti quando potremo rientrare nei nostri studi e ambulatori. Gli studi non sono a tutt’oggi agibili, ma sono di classe E, per la quale non si è ancora deciso cosa fare. Il risultato è che a quattro mesi dal sisma circa 60 mila persone sono costrette a farsi visitare in caso di bisogno all’interno di un container”.
Non va meglio neanche negli ospedali, in particolare in quelli Mirandola, Carpi, Finale Emilia ed al Policlinico di Modena, dove sono andati persi ben 700 posti letto a causa dell’inagibilità dei reparti a causa del sisma. “Tra i reparti più colpiti – continua Borrelli – ci sono quelli di cardiologia e ostetricia, e i pazienti sono dirottati verso altri comuni”. Ad oggi inoltre, rileva Borelli, ”ancora 500 anziani vivono fuori dalle proprie case, accolti in alberghi. E di questi, 111 erano precedentemente ospitati in strutture di ricovero”.
Una situazione che ha delle pesanti ricadute anche dal punto di vista psicologico. Il consumo di psicofarmaci infatti è letteralmente esploso negli ultimi quattro mesi, facendo registrare una crescita del 20-30 cento e sono aumentati anche i disturbi psicologici. ”In questi ultimi 4 mesi – sottolinea il medico – abbiamo registrato un preoccupante aumento di circa il 30 per cento del consumo di psicofarmaci nella popolazione a causa del trauma subito, nonché un aumento del 15 per cento delle demenze tra gli anziani e, in generale, un aumento delle sindromi depressive”. Il problema è che ”molta gente non ha più lavoro, e in una regione che fa il 20 per cento del Pil italiano – conclude Borrelli – è difficile affrontare una situazione che vede oltre 17 mila persone in cassa integrazione”.
A patire le conseguenze psicologiche del terremoto sono anche i più piccoli. Sono centinaia i bambini e gli adolescenti che hanno avuto e hanno ancora problemi psicologici dovuti al terremoto, e molte situazioni rischiano di emergere nei prossimi mesi, secondo quanto è emerso da un recente convegno organizzato a Modena dall’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. ”Solo il Telefono Azzurro ha seguito più di 200 ragazzi nei campi allestiti a Cavezzo, che non è ancora chiuso, e a Finale – precisa Ernesto Caffo, ordinario di Neuropsichiatria Infantile dell’Università e presidente di Telefono Azzurro – A questi si aggiungono quelli in carico alla Asl, che sono stati il 20 cento del totale delle segnalazioni, e quelli incontrati dalle altre associazioni. C’è stata una grande solidarietà intorno alle vittime del terremoto, ma c’è ancora un grande lavoro da fare per ricostruire le comunità”. La priorità, secondo il neuropsichiatria, deve essere data alle scuole, visto che molte classi sono ancora nei container e questo non facilita gli interventi. Molte delle situazioni trovano infatti sfogo proprio a scuola, che può essere il centro principale del monitoraggio insieme alla famiglia. Bisogna solo sperare che la ricostruzione dell’Emilia non diventi un miraggio e un mostro che si trascina per decenni, come è accaduto, quasi sempre, per i terremoti degli ultimi 30 anni.